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Cop28, spartiacque per una nuova era oltre le energie fossili

A Dubai è stato siglato un accordo definito storico perché per la prima volta fa riferimento a un allontanamento dai combustibili fossili. Non mancano però i dubbi e le critiche per le possibili scappatoie da questo impegno. E in ogni caso tanto rimane ancora da fare

Sarà l’inizio della fine delle fonti fossili? Il risultato della Cop28, che si è chiusa a Dubai il 13 dicembre, sotto la presidenza di Sultan Ahmed al-Jaber, è stato definito “storico”. Sono trent’anni infatti che il forum multilaterale della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfcc) cercava di inserire una menzione dell’eliminazione delle fonti fossili dentro il negoziato permanente per il clima. È servito il primo Global Stocktake (Gst), la verifica dello stato di avanzamento dell’Accordo di Parigi, al quale siamo arrivati con risultati scarsissimi, per trovare il consenso per ratificare una visione di politica industriale, economica e sociale di progressiva transizione dalle fonti fossili.

Nel testo finale dell’Uae Consensus si legge che i Paesi si impegnano per una “Fuoriuscita (transition away) dai combustibili fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato e equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere lo zero netto entro il 2050 in linea con la scienza”. Transition away, dicitura su cui aveva scommesso anche la delegazione negoziale italiana di fatto è come dire phase-out, eliminazione, senza dirlo. “Legalmente ha praticamente lo stesso valore”, ha commentato ai giornalisti il commissario Unione europea (Ue) per il clima, Wopke Hoekstra.

È un accordo storico. Per la prima volta in assoluto c’è un linguaggio sull’uscita dei combustibili fossili”, ha dichiarato sorridendo al-Jaber, dando via ad un lungo applauso, dove ancora in molti non si capacitano della rapida approvazione, avvenuta a soli cinque minuti dall’inizio della Plenaria finale. Uno strappo che non ha permesso ad alcuni Paesi, tra tutti il gruppo Aosis, i piccoli stanti insulari, di palesare il proprio dissenso anche se l’intesa era già stata definita. Ma tant’è, il martello del presidente sancisce una nuova era economica.

Sultan Al Jaber, presidente della COP28, alza il martello durante la plenaria di chiusura della conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici COP28 all'Expo City Dubai il 13 dicembre 2023, a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. (Foto di COP28 / Christopher Pike)

Sultan Al Jaber, presidente della Cop28, alza il martello durante la plenaria di chiusura della conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici Cop28 all’Expo City Dubai il 13 dicembre 2023, a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. (Foto di Cop28 / Christopher Pike)

Questo è un momento di cambiamento epocale” ha commentato in conferenza stampa l’inviato Usa per il clima, John Kerry. “Ma ciò non significa che tutto si risolverà da un giorno all’altro. Dobbiamo continuare a spingere per il cambiamento”, aggiungendo che “i Paesi saranno giudicati in base a quanto saranno all’altezza del loro impegno comune di abbandonare i combustibili fossili”.

A mettere i puntini sulle “i” spetta alla società civile e ai Paesi più vulnerabili che riconoscono la storicità della decisione, ma ne vedono anche i limiti. Secondo Harjeet Singh, di Climate Action Network International, “la risoluzione è viziata da scappatoie che offrono all’industria dei combustibili fossili numerose vie di fuga, facendo affidamento su tecnologie non provate e non sicure”. Per Madeleine Diouf Sarr, responsabile clima del Senegal e presidente del gruppo degli Paesi meno sviluppati “questo risultato non è perfetto, ci aspettavamo di più. Riflette l’ambizione più bassa possibile che potremmo accettare piuttosto che ciò che sappiamo, secondo la migliore scienza disponibile, essere necessario per affrontare urgentemente la crisi climatica”. L’imperativo è ora “fermare tutti i piani di espansione fossili che ci stanno spingendo oltre il limite di 1,5°C” ha spiegato Kaisa Kosonen, climate advisor di Greenpeace International.

Il trionfo del multilateralismo

“Questo momento significa il trionfo del multilateralismo in mezzo alle avversità globali”, ha osservato Kerry nel suo discorso alla plenaria. Il forum delle tre Cop (clima, biodiversità, desertificazione) continua ad essere attraverso lo strumento del consenso un luogo di decisioni comuni, e “uno strumento di pace”, come ribadito da al-Jaber. Uno dei momenti più originali di confronto diretto tra ministri è stato il Majlis, un cerchio di discussione aperto e senza script preparati (ma mostrato in streaming), che secondo vari negoziatori e la presidenza è stato un momento di svolta nel dialogo. Ha sorpreso anche la decisione di affidare la Cop29 del prossimo anno (11-24 novembre, luogo da confermare) all’Azerbaijan – dopo i veti russi sulla Bulgaria – avvenuta grazie al riavvicinamento con l’Armenia, che ha accettato di buon grado di ritirare la propria candidatura come good gesture. Un segno che è ulteriore misura di come le Cop possono essere fora di pace.

John Kerry, inviato speciale presidenziale per il clima, negli Stati Uniti partecipa alla plenaria di chiusura della conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici COP28 a Expo City Dubai il 13 dicembre 2023, a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. (Foto di COP28 / Christopher Edralin)

John Kerry, inviato speciale presidenziale per il clima, negli Stati Uniti partecipa alla plenaria di chiusura della conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici Cop28 a Expo City Dubai il 13 dicembre 2023, a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. (Foto di Cop28 / Christopher Edralin)

Questo non significa che non perdurino le differenze tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo, con la Cina che dovrebbe infine entrare nel club delle nazoni industrializzate, e le continue richieste di maggiore responsabilità dei Paesi che storicamente hanno più contribuito al cambiamento climatico (con il dito spesso puntato verso gli Usa) da parte delle economie emergenti. Sarà interessante anche capire che peso avrà la prossima commissione Ue (numerosi delegati hanno segnalato una speranza in Mario Draghi, chiave per la svolta nella finanza climatica) e la forza dei Paesi progressisti dell’America Latina, guidata da Brasile, Colombia e Bolivia, che punta molto sul una revisione delle Cop, un rafforzamento del tema dei diritti e della giusta transizione, dando un assaggio dell’orientamento della Cop30 che si terrà nella brasiliana Belém nel 2025; summit chiave, dove i Paesi dovranno aver presentato i nuovi obiettivi di nazionali mitigazione e adattamento (Ndc) per il 2035. In quell’occasione si farà un bagno di realtà definitivo su dove il mondo sta andando per preservare l’obiettivo dei 1,5°C. “La diplomazia avrà un ruolo sempre più importante dentro e fuori le Cop, dove l’azione climatica diviene chiave per il multilateralismo”, ha commento all’autore l’inviato speciale dell’Italia per il clima Francesco Corvaro da Dubai. “Per questo nei prossimi mesi proporrò che si lavori sulla formazione su questi temi per il mondo diplomatico e dei ministeri”. Va segnalata infine da più parti la critica del consenso come strumento decisionale. È giunto il momento di rivedere questo meccanismo, per evitare di essere ostaggio di un paio di Paesi nei processi?

Quadro di riduzione delle emissioni

Il testo è una forte conferma del peso che ha la scienza e l’Ipcc sulle decisioni Unfccc, una convergenza a lungo attesa. L’Uae Consensus prende atto delle conclusioni contenute nella relazione di sintesi del Sesto rapporto di valutazione dell’Ipcc e “riconosce che è necessario limitare [entro fine secolo] il riscaldamento globale a 1,5°C senza superarlo o con un superamento limitato; richiede riduzioni delle emissioni globali profonde, rapide che siano pari al 43% cento entro il 2030 e il 60% al 2035, raggiungendo il net zero a metà secolo. Confermata la necessità di attenersi alla scienza (anche se poi il documento finale di Dubai non è in linea con essa) e di allineare gli Ndc nazionali a questi obiettivi. La Cop stabilisce che questi dovranno essere consegnati dai Paesi entro 9 – 12 mesi dalla Cop del 2025, deadline che permetteranno sia alla presidenza che a tutte le organizzazioni intergovernative e quelle non governative di elaborare analisi e previsioni, da presentare a Cop30 e informare il secondo Global Stocktake del 2028. Va notato che dal 2025 gli Ndc avranno orizzonte temporale decennale, quindi dovranno includere azioni e politiche fino al 2035 secondo la formula 5+5 stabilita a Cop26.

Azione per l'eliminazione graduale dei combustibili fossili alla conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici COP28 all'Expo City Dubai il 13 dicembre 2023, a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. (Foto di COP28/Andrea DiCenzo)

Azione per l’eliminazione graduale dei combustibili fossili alla conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici Cop28 all’Expo City Dubai il 13 dicembre 2023, a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. (Foto di Cop28/Andrea DiCenzo)

Una nuova strategia per la mitigazione

Il Global Stocktake va letto come una condivisa strategia globale di sviluppo con un chiaro focus sull’energia e, in misura minore sull’ambiente. Omesso invece il peso dei sistemi agroalimentari, ridotto a una mera menzione. Partiamo dalla decisione di triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale e raddoppiare il tasso medio annuo globale di miglioramento dell’efficienza energetica entro il 2030. Un obiettivo sfidante che dovrà essere inserito negli obiettivi nazionali (Ndc) entro il 2025. Oltre alle rinnovabili (solare, eolico, geotermico e idrico) si aggiunge una lista corposa di tecnologie come il nucleare – secondo il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani si tratta di un “accordo ambizioso, che riconosce nucleare come tecnologia strategica – e tecnologie di abbattimento e rimozione come la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio del carbonio, la produzione di idrogeno a basse emissioni di carbonio oltre che tutti i carburanti a basse e zero emissioni come e-fuels, biocarburanti e altri syn-fuels. Sebbene limitato ai settori hard-to-abate, dove ridurre le emissioni è più difficile, l’introduzione dei Combustibili Solidi Secondari (Css) come strumento per la decarbonizzazione ha raccolto numerose critiche della società civile che ha bollato le tecnologie di cattura, stoccaggio e uso della CO2 come una falsa soluzione.

Gas climalteranti non-CO2 e sussidi dannosi

Altro elemento storico è la prima menzione per una “riduzione sostanziale” di tutti i gas serra non-CO2, incluso il metano, entro il 2030. Sarebbe stato utile un obiettivo chiaro di riduzione di almeno il 30% rispetto ai livelli del 2020. Andrà verificato da vicino cosa farà il settore oil&gas, specie in Paesi come la Russia che continuano a non avere nessun controllo e quali conseguenze avrà sulle industrie che emettono F-gas e perossido di azoto che dovrebbero almeno dichiarare degli obiettivi volontari di riduzione nei prossimi sette anni. Rilevante anche la menzione di “eliminare gradualmente, quanto prima possibile, i sussidi inefficienti ai combustibili fossili che non affrontano la povertà energetica o agevolano la transizione”, che dopo essere stata inclusa nei G20 per la prima volta entra all’interno del linguaggio Onu. Secondo l’economista Avinash Persuad, intervistato dall’autore, una delle menti della Bridgetown Initiative, “l’ammontare dei sussidi da ridurre e trasferire in sicurezza è molto inferiore rispetto alle cifre riportate dai giornali. Siamo nell’ordine di 300 miliardi di dollari anziché 1.400 miliardi di dollari. Tuttavia, 300 miliardi non sono una piccola somma di denaro. Fa una grande differenza ad esempio per il Loss and Damage”. Sarà intanto fondamentale che tutti i paesi abbiano un registro dei sussidi ambientalmente dannosi, come già fa l’Italia.

Natura, un collegamento con l’accordo di Montreal-Kunming

Era mancata lo scorso anno, a Cop27, l’enfasi sulla protezione, conservazione e ripristino della natura e degli ecosistemi per raggiungere i goal dell’accordo di Parigi, dato che solo dopo Sharm el-Sheik si sarebbe tenuta la 15esima Conferenza sulla Biodiversità che ha portato lo scorso dicembre all’accordo di Kunming-Montreal. Con il nuovo testo, oltre aumentare gli sforzi per arrestare e invertire la deforestazione e il degrado delle foreste entro il 2030, si riconosce il ruolo di tutti gli ecosistemi terrestri e marini e della biodiversità che agiscono come pozzi e serbatoi di gas serra, in linea con l’accordo di Kunming-Montreal. Un ulteriore arma per rafforzare la sfida della Cop biodiversità, spesso negletta, che dà appuntamento in Colombia nel 2024, e che concentrerà molta della sua attenzione sul clima e sulle risorse economiche da mobilitare in quell’ambito.

Delusione invece sulla mancata menzione alla riduzione delle emissioni di gas serra provenienti dai sistemi alimentari nonostante la presidenza degli Emirati Arabi Uniti aveva promesso di mettere il cibo “sul tavolo” alla Cop28, tema sostenuto dall’Italia stessa. Emile Frison, esperto del panel Ipes-Food, ha dichiarato: “La Cop28 è iniziata con la firma di 158 nazioni per una dichiarazione per adattare e trasformare i sistemi alimentari come parte dell’azione per il clima. La palese omissione nel testo finale è un tradimento dell’urgenza evidente”. In questo caso la patata bollente è rilanciata nel campo del negoziato sulla biodiversità in Colombia il prossimo anno.

Diritti umani

Secondo l’analisi di Italian Climate Network, “il testo approvato menziona i diritti umani principalmente nella parte preambolare (non vincolante) e, quindi, manca di inserire chiari e vincolanti riferimenti incrociati nel corpo del testo, che assicurino di fatto una piena operatività dei meccanismi di azione climatica, sulla base anche di un approccio orientato ai diritti umani”. Nella parte inerente perdite e danni si è dunque perso il relativo paragrafo sui diritti umani. Questo apre a possibilità storture in vari processi, fondi e operazioni, che dovranno essere modificate entro Cop25.

Va meglio nel testo del Global Goal on Adaptation (Gga) dove si decide che per le azioni volte all’adattamento si necessita un approccio orientato alle differenze culturali, di genere, trasparente, rispetto dei diritti umani e volto a garantire l’equità intergenerazionale e la giustizia sociale, tenendo conto degli ecosistemi, dei gruppi e delle comunità vulnerabili, compresi i bambini e i giovani e persone con disabilità.

Foto di Cop28

Adattamento

Grande soddisfazione per quest’ultimo testo, hanno commentato più Paesi del nord e sud globale. Questi gli obiettivi stabiliti: entro il 2030 tutti i Paesi dovranno aver condotto valutazioni aggiornate dei rischi climatici, degli impatti dei cambiamenti climatici e dell’esposizione ai rischi e vulnerabilità e usare i risultati di queste valutazioni per informarne la formulazione dei piani nazionali di adattamento, degli strumenti politici e dei processi o strategie di pianificazione; entro cinque anni ogni Paese dovrà avere sistemi di allerta precoce multi-rischio, osservatori climatici e centri dati per il decision-making legati al climate change, una priorità assoluta per ridurre le perdite e i danni; sempre entro il decennio dovranno essere istituiti piani di adattamento partecipativi e pienamente trasparenti, con adeguati strumenti politici e processi o strategie di pianificazione, coprendo, a seconda dei casi, ecosistemi, settori, persone e comunità vulnerabili. Questa sarà una grande priorità per le agenzie di cooperazione allo sviluppo visto che fondamentale sarà la formazione del personale e degli stakeholders coinvolti, l’implementazione di progetti infrastrutturali, sfruttando ove possibile le nature-based-solutions.

Loss and Damage

Approvata il primo giorno di negoziato l’operatività del Fondo Loss and Damage e raccolti nel corso del negoziato oltre 750 milioni di dollari. Il fondo nasce per fornire assistenza finanziaria ai Paesi più vulnerabili colpiti dagli effetti del cambiamento climatico. Nella lista dei donor troviamo 100 milioni di dollari promessi dalla Germania, 40 milioni di sterline (50 milioni di dollari) dal Regno Unito (che ne ha promessi altri 20 per ulteriori accordi di finanziamento), 17,5 e 10 milioni di dollari rispettivamente da Stati Uniti e Giappone. L’Italia insieme alla Francia ha avuto la parte del leone allocando 100 milioni di ruro (108 milioni di dollari). “Ciò che è stato promesso a Sharm el-Sheikh è già stato concluso a Dubai ‒ ha dichiarato al-Jaber ‒ La velocità con cui il mondo si è riunito per rendere operativo questo Fondo entro un anno da quando le Parti lo hanno concordato a Sharm el-Sheikh è senza precedenti.”

Sarà la Banca Mondiale la sede provvisoria del Fondo Loss and Damage per un periodo di quattro anni. Il fondo per le perdite e i danni avrà un segretariato indipendente con un consiglio di amministrazione coerente con i propri membri. Inoltre, i membri del Comitato di transizione hanno chiesto che il fondo operi in conformità con i principi dell’Unfccc e dell’Accordo di Parigi.

I versamenti al fondo sono su base volontaria, mentre il testo afferma che i Paesi sviluppati sono “invitati” a contribuire. Per quanta riguarda l’accesso, tutti i Paesi in via di sviluppo possono richiedere direttamente le risorse del Fondo, con una percentuale minima di allocazione dedicata ai Paesi meno sviluppati e ai piccoli Stati insulari in via di sviluppo. Secondo il testo saranno inoltre condotte valutazioni indipendenti periodiche del rendimento del Fondo al fine di fornire una valutazione obiettiva dei risultati, comprese le attività finanziate dal Fondo, e della sua efficacia ed efficienza.

Saranno però necessari entro il 2030 almeno 100 miliardi di dollari, sostengono gli economisti. Secondo Avinash Persuad è importante che questi fondi vengano erogati come grant, lasciando alla mitigazione e adattamento i prestiti delle banche multilaterali di sviluppo e del mondo finanziario.

Dan Murphy parla sul palco del panel Global Climate Action Through Fostering Sustainable Finance presso il teatro Al Waha durante la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici Cop28 all'Expo City Dubai il 4 dicembre 2023, a Dubai, Emirati Arabi Uniti. (Foto di Cop28 / Mahmoud Khaled)

Dan Murphy parla sul palco del panel Global Climate Action Through Fostering Sustainable Finance presso il teatro Al Waha durante la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici Cop28 all’Expo City Dubai il 4 dicembre 2023, a Dubai, Emirati Arabi Uniti. (Foto di Cop28 / Mahmoud Khaled)

Finanza climatica

La Cop ha anche adottato un pacchetto di decisioni sul tema della finanza per il clima, che sarà centrale il prossimo anno a Baku: sul nuovo obiettivo quantitativo post-2025, sul comitato permanente sulla finanza, sulla reportistica, sulla revisione del Meccanismo finanziario e sulla finanza climatica di lungo termine. “I due testi più rilevanti sono probabilmente quelli sul nuovo obiettivo post-2025 e sulla finanza di lungo periodo”, commenta Jacopo Bencini, policy advisor di Italian Climate Network.

L’obiettivo post-2025, ovvero post 100 miliardi l’anno per i Paesi più vulnerabili si chiama Ncqg (New collective quantified goal) e dovrà essere presentato in bozza ben prima della Cop29, passando almeno tre dialoghi tra esperti nel 2024, da tenersi prima dei negoziati intermedi di giugno 2024, uno durante gli stessi, quindi uno poco dopo e “molto prima” della Cop azera.

Per spingere il processo, i Paesi hanno deciso inoltre con questo testo di convocare un ministeriale di alto livello sul tema dell’Ncqg “ben prima” di Cop29. Questo sarà un tema chiave: senza obiettivi finanziari tutto il pacchetto dell’Uae Consensus perde peso. Infatti la finanza climatica per i Paesi in via di sviluppo rimane un elemento chiave per raggiungere gli obiettivi di adattamento e mitigazione. Serve mobilitare, secondo il testo del Global Stocktake, da parte dei Paesi industrializzati “4,3 mila miliardi di dollari l’anno per la mitigazione e 215-387 miliardi di dollari all’anno fino al 2030 per l’adattamento, cifra che complessivamente dovrà poi superare i 5mila miliardi di dollari l’anno fino al 2050”. Insomma a Baku sarà tutto finanza, finanza, finanza. Al punto che una negoziatrice senior ha commentato che “più che i ministri dell’ambiente dovremmo portarci i ministri delle finanze”

“La strada verso l’eliminazione graduale dei combustibili fossili passa innanzitutto attraverso massicci flussi finanziari per enormi investimenti nelle energie rinnovabili. Ora abbiamo un piano per arrivarci. L’attuazione di tale piano richiede che i governi e le banche multilaterali di sviluppo siano più efficaci, più grandi e più audaci. Quindi, la prossima tappa per molti da Dubai sarà Washington e gli incontri primaverili delle banche multilaterali di sviluppo”, ha commentato per Oltremare Persaud.

Biografia
Emanuele Bompan
Giornalista ambientale e geografo. Si occupa di economia circolare, cambiamenti climatici, green-economy, politica americana. È Direttore della rivista Materia Rinnovabile, collabora con testate come La Stampa, Nuova Ecologia e Oltremare. Ha scritto l’Atlante geopolitico dell’Acqua (2019), Water Grabbing – le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo (2018), Che cosa è l’economia circolare (2017). Ha vinto per quattro volte l’European Journalism Center IDR Grant, una volta la Middlebury Environmental Journalism Fellowship, una volta la Google DNI Initiative ed è stato nominato Giornalista per la Terra nel 2015.
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