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La riforma delle Banche multilaterali di sviluppo, la chiave per il futuro della cooperazione

Entro il 2030 andranno movimentate migliaia di miliardi per sostenere lo sviluppo a prova di cambiamento climatico. Ma la riforma delle istituzioni e la cancellazione del debito procedono lentamente

I conti sono noti. Per sostenere i Paesi in via di sviluppo ad adattarsi e mitigare il riscaldamento globale bisogna movimentare almeno 1.000 miliardi di dollari all’anno a partire dal 2025. Ma la somma complessiva potrebbe assestarsi, addirittura intorno ai 5.000 miliardi per il 2030, sostiene il World resource institute, uno dei think tank più stimati sul tema dello sviluppo sostenibile. Numeri che devono essere presi in grande considerazione da qualsiasi governo e agenzia di cooperazione.

Cifre enormi, che si devono confrontare con il fatto che interessano soprattutto Paesi che hanno un debito estero eccessivo, che costituisce da decenni un serio ostacolo alla crescita, stritolandoli in una vera trappola della povertà. Effetto “Debt overhang”, lo chiamano gli economisti. Ora però la trappola diventa duplice, dato che, se non realizzano le riforme e infrastrutture necessarie per affrontare la crisi climatica, si rischiano crisi a ripetizione che possono portare numerose nazioni al default o, peggio ancora, a situazioni di grave instabilità o conflitto.

Secondo il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp) sono 54 i Paesi in via di sviluppo che necessitano di una riduzione urgente del debito pubblico, pena una imminente catastrofe umanitaria, emigrazioni incontrollate e guerre di vario tipo: venticinque sono nella regione sub sahariana, dieci nell’America Latina e nei Caraibi. Una situazione peggiorata negli ultimi mesi, dovuta al fatto che i suddetti Paesi emettono debito in dollari e, di conseguenza, subiscono l’aumento dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve americana, che in questi mesi non sembrano arrestarsi.

Per i Paesi industrializzati la situazione è altrettanto delicata: la crisi del debito nei Paesi in via di sviluppo significa interruzione della supply chain globale, insolvenza, rallentamento globale dell’economia. Per questo, da più parti, crescono le pressioni per una ristrutturazione del debito dei least developed countries, per nuove condizioni di prestito per il clima agevolate e per innovativi strumenti finanziari che tengano da conto gli impatti su clima e biodiversità dei progetti da finanziare. Un mandato che arriva chiaro dai negoziati Onu sul clima e quelli sulla biodiversità. Negli ultimi due incontri (Sharm-el-Sheik, Cop27, e Montreal-Kunming, Cop15) si è  ribadita l’urgenza della riforma delle Banche multilaterali di sviluppo, note con l’acronimo inglese Mdbs (Multilateral Develpment Banks), ovvero quelle istituzioni sovranazionali nate a partire dagli accordi di Bretton Woods, create dagli Stati sovrani che ne sono azionisti per favorire la lotta alla povertà e la ricostruzione, ma che oggi dovrebbero avere un doppio obiettivo, sociale e ambientale.

Il tema è stato ribadito anche all’ultimo G20 dei ministri delle Finanze, di inizio febbraio 2023, in India, dove si è sottolineata anche l’importanza di nuovi strumenti finanziari come i Green bonds e Sustainability linked bonds (Slbs) per lo sviluppo, dedicati anche a quei Paesi che hanno difficoltà a contrarre nuovo debito. La parola chiave per questi strumenti è blended finance, la finanza mista, ovvero la mobilitazione di capitale privato accanto allo sviluppo o al finanziamento pubblico per finanziare lo sviluppo sostenibile nei mercati emergenti e di frontiera. “Attualmente, le obbligazioni verdi e gli Slb rappresentano solo il 5% delle attività finanziarie totali del mondo. La necessità di aumentare questi strumenti, in particolare entro il 2030, è stata sottolineata dagli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Oss)”, spiega un comunicato uscito dal G20 indiano. L’imperativo, ribadito già durante il G20 a presidenza italiana, è quello di accelerare sulla climate finance. Tra boom dei ranking Esg, riforma delle strategie di finanziamento, riforma degli indirizzi delle banche di sviluppo e commerciali, sul piatto c’è tantissimo. Ma se idealmente tutti sono d’accordo, quando si tratta di rendere concrete le riforme tutto langue.

Una lenta riforma finanziaria

Dopo il momento di spinta con la presentazione della Bridgetown Agenda (il piano di riforma delle banche presentato a Cop26 a Glasgow e rilanciato a Sharm-el-Sheikh), il piatto si è raffreddato. “Abbiamo ripetutamente sottolineato [alle banche multilaterali] l’urgenza di muoversi rapidamente per poter affrontare la crisi climatica”, ha affermato l’inviato speciale per il clima americano John Kerry, intervenuto al Forum di Davos a gennaio. Le banche multilaterali di sviluppo “sono più preoccupate più per i loro ratings che per lo sviluppo globale”. Il target principale delle parole di Kerry è la Banca mondiale, guidata da David Malpasse, noto per le sue posizioni climanegazioniste, poco idonee al capo di un’istituzione chiave per la riforma dell’accesso al credito per il clima.

L'inviato per il clima Usa John Kerry al World economic forum 2023 di Davos. Crediti: World economic forum

L’inviato per il clima Usa John Kerry al World economic forum 2023 di Davos. Crediti: World economic forum

Al momento la Banca mondiale ha dichiarato in un comunicato stampa, datato 7 settembre, di aver aumentato i suoi finanziamenti per il clima a 31,7 miliardi di dollari nell’anno fiscale 2022 (erano da 10,9 miliardi di dollari nell’anno fiscale 2016). “Siamo il più grande finanziatore di progetti per il clima nei Paesi in via di sviluppo. Continueremo a fornire soluzioni per mettere in comune i finanziamenti della comunità globale per progetti di impatto e scalabili che riducano le emissioni di gas serra, migliorino la resilienza e abilitino il settore privato”, ha affermato Malpasse in un virgolettato.

Complessivamente la banca ha fissato un obiettivo per il finanziamento del clima al 35% del suo lending complessivo, ma le cifre, secondo molti funzionari governativi e attivisti per il clima, intervistati dal Washington Post, sono troppo basse. Basta considerare che in cinque anni la Banca mondiale ha speso quasi 15 miliardi di dollari in progetti legati ai combustibili fossili tra il 2016 e il 2021 per aver idea che la riforma è lontana dall’essere completa. Inoltre vanno modificate sia le modalità di erogazione che i tempi con cui vengono ripagati i prestiti, per agevolare i paesi stritolati dal debito. Nel testo finale di Cop27 si legge: “Si sottolinea che le banche dovranno fornire una quota significativa di risorse finanziarie, migliorare il loro potenziale di leva finanziaria dei finanziamenti privati, impiegare la gamma di strumenti dalle sovvenzioni alle garanzie e agli strumenti non di debito e risolvere la limitata propensione al rischio e capitalizzazione ridotta, triplicando i finanziamenti per il clima almeno fino al 2025”. Non solo: è il momento di iniziare un’amplia riflessione sulla riduzione del debito in maniera strutturale, proprio per i paesi più esposti al rischio climatico, e che possono offrire un debt swapt se riescono a presentare progetti ambiziosi per adattamento e mitigazione, dove il vecchio debito viene sostituito da uno nuovo, con migliori condizioni e erogazione in tempi ridotti.

Il Fmi e la riforma dei diritti speciali di prelievo

Al Fondo monetario internazionale (Fmi), altra istituzione al centro della riforma, invece è arrivata la richiesta di aumentare l’emissione di diritti speciali di prelievo (Special drawing rights, Sdr), una pseudo-valuta di riserva internazionale creata dal Fmi per integrare le riserve ufficiali dei Paesi membri, in particolare verso l’Africa e gli Stati meno sviluppati, impiegando banche di sviluppo. Questi Sdr potrebbero essere usati per un nuovo fondo, il Climate mitigation trust del valore di 500 miliardi di euro che potrebbe fungere da leva per circa 5.000 miliardi in finanza privata, attraverso la blended finance. Non solo: lo strumento potrebbe accelerare anche strategie di riconversione del debito e fomentare gli investimenti privati degli istituti finanziari internazionali. Sono passati 77 anni da Bretton Woods e 30 anni dai disastri dei piani di aggiustamento strutturali del Fmi. Oggi il mondo finanziario internazionale deve essere pronto per una riforma senza precedenti. A guidarla, si sussurra negli ambienti internazionali, potrebbe essere lo stesso Mario Draghi, che durante la presidenza italiana del G20 aveva riflettuto più volte su un riformismo della finanza multilaterale.

Una sessione dell'Annual meeting del Fondo monetario internazionale e Banca mondiale

Una sessione dell’Annual meeting del Fondo monetario internazionale e Banca mondiale.

Se i consigli di amministrazione di aprile di Fmi e Banca mondiale vedranno un importante cambio di rotta, c’è la possibilità che la finanza climatica veda un reale segnale di svolta. A Washington D.C, intanto, all’interno della Banca mondiale c’è stato un primo avvicendamento di figure a capo dell’istituzione, segnale che Malpasse è sotto pressione da parte degli stakeholder. Un ruolo importante lo avrà, annuncia devex.com, Anna Bjerde, che sarà la nuova Managing director of operations e si occuperà di implementare la road map di riforma dell’istituzione e di seguire l’ingente aumento di capitale previsto, interamente indirizzato alla lotta contro il cambiamento climatico. Il processo di negoziazione con gli stakeholder è iniziato, ma già da aprile potrebbe capirsi la quota da destinare ed avere un chiaro indirizzo della riforma, che avrà effetti a catena sulle altre banche multilaterali di sviluppo e in generale sul settore finanziario internazionale, pubblico e privato.

Biografia
Emanuele Bompan
Giornalista ambientale e geografo. Si occupa di economia circolare, cambiamenti climatici, green-economy, politica americana. E’ Direttore della rivista Materia Rinnovabile, collabora con testate come La Stampa, Nuova Ecologia e Oltremare. Ha scritto l’Atlante geopolitico dell’Acqua (2019),Water Grabbing – le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo (2018) “Che cosa è l’economia circolare” (2017). Ha vinto per quattro volte l’European Journalism Center IDR Grant, una volta la Middlebury Environmental Journalism Fellowship, una volta la Google DNI Initiative ed è stato nominato Giornalista per la Terra nel 2015.
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