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Un business plan climatico e di nuova generazione per l’Africa

Il continente ha un impatto minimo sul riscaldamento globale, ma ne sta subendo gli effetti più di qualunque altra regione. Ecco perché il suo futuro riguarda tutti

Mettiamolo subito in chiaro, usando le parole di Hafez Ghanem, vice presidente di Banca mondiale per l’Africa: “Il continente africano è quello che meno ha contribuito al riscaldamento globale, eppure è allo stesso tempo quello che ne sta sperimentando gli impatti più devastanti”. Guardando alla mappa dei disastri degli ultimi anni legati all’inasprimento delle temperature, diversi Paesi hanno sperimentato periodi di siccità più lunghi e profondi, e allo stesso tempo tempeste e alluvioni di portata straordinaria.

Gli esempi recenti non mancano. A marzo del 2019, Mozambico, Zimbabwe e Malawi sono stati interessati dal ciclone Idai, il cui passaggio ha causato la morte di almeno 1300 persone e una serie di devastazioni da cui ancora ci si deve riprendere. Nella stessa regione australe, le dighe dello Zambia non sono mai state così vuote, con effetti sull’approvvigionamento di energia (il livello basso delle acque colpisce le centrali idroelettriche) e, a cascata, sull’industria mineraria, sulle utenze domestiche e sullo sviluppo economico del Paese. Risalendo la costa orientale, un mix di situazioni estreme, a cui si è aggiunta una invasione di locuste, hanno reso la questione della sicurezza alimentare ancora più pungente nel Corno d’Africa. Se poi aggiungiamo gli effetti economici del coronavirus, ecco che il quadro si tinge di tinte ancora più fosche. In dichiarazioni rilasciate lo scorso 25 settembre, il vice segretario generale dell’Onu per gli Affari umanitari, Mark Lowcock, ha sottolineato come sempre di più conflitti, shock climatici e degrado ambientale vadano a braccetto e incidano sulla stabilità dei Paesi, sull’economia e sulla tenuta sociale. Da questo punto di vista emblematico è il caso del Sahel, dove le tensioni per il venir meno delle risorse, a fronte di condizioni climatiche estreme, hanno portato a una situazione di cronica instabilità, con intere regioni – in Burkina Faso, Niger e Mali – che sfuggono al controllo delle autorità centrali.

Il verde che prova a contrastare il deserto © InfoAfrica

Possiamo dedurre, quindi, che la crescita economica e lo sviluppo dell’Africa dipendono anche dalla capacità di far fronte all’impatto dei cambiamenti climatici e degli eventi naturali estremi.
E se la magnitudo di tale impatto sull’economia è ancora oggetto di dibattito in seno alla comunità scientifica, è ormai assodato che a subirne maggiormente i costi umani, sociali ed economici sono quei Paesi e quelle comunità dove il peso del settore primario (l’agricoltura e l’allevamento) è fondamentale per la formazione complessiva della ricchezza nazionale. Torniamo così alle parole di Hafez Ghanem e al dato che queste si portano dietro: a fronte di un contributo dell’Africa alle emissioni inquinanti globali stimato in un 4% del totale, il continente e la sua popolazione emergono come i più colpiti dalle variazioni impreviste dei modelli climatici.

I settori produttivi ne risentono, infatti, in maniera diretta. La siccità del 2016-2017 in Somalia ha causato perdite nella produzione agricola e nel bestiame e aggravato un contesto già difficile. La stagione dei cicloni per il Mozambico si è tradotta in un rallentamento della crescita del prodotto interno lordo reale al 2,5% nel 2019 rispetto a una stima precedente del 4,7%. Nei Paesi dell’Africa, le stime più prudenti della Banca africana di sviluppo (AfDB) sui danni diretti causati dai pericoli naturali alla sola generazione di energia e alle infrastrutture di trasporto si attestano a 18 miliardi di dollari ogni anno, mentre le interruzioni costano alle famiglie e alle imprese almeno 190 miliardi di dollari all’anno. Più complesso risulta invece realizzare una stima degli impatti indiretti dei cambiamenti climatici sulle strutture economiche e sociali, come per esempio la maggiore pressione sulle risorse locali, che può generare – come abbiamo visto – insicurezza e conseguenti flussi migratori incontrollati soprattutto all’interno del continente stesso.

Alla luce di un simile contesto, è evidente l’urgenza di intraprendere azioni in grado di accompagnare la trasformazione strutturale delle economie africane attraverso iniziative di adattamento ai mutamenti in corso per garantire una gestione sostenibile delle risorse esistenti, evitando al contempo che la pressione demografica nel continente generi un aumento esponenziale della povertà. Soprattutto tenendo in considerazione che mancano ormai meno di dieci anni alla scadenza del 2030 fissata dalle Nazioni Unite per raggiungere i cosiddetti Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs), che riconoscono già lo stretto legame esistente tra il benessere umano e la salute dei sistemi naturali.

Non è quindi un caso – come sottolinea in un suo articolo il mensile economico Africa e Affari – che a settembre la Banca mondiale abbia pubblicato un rapporto intitolato ‘Next Generation Africa Climate Business Plan: Ramping Up Development-Centered Climate Action’, che si propone come quadro generale per i suoi futuri interventi di finanziamento in Africa. Intenzione dell’istituzione finanziaria multilaterale è, dopo aver riconosciuto che la diffusione della pandemia di Covid-19 a livello globale apre sfide ma anche opportunità in precedenza inimmaginabili, quella di sottoporre ogni suo nuovo progetto di investimento a una valutazione sulle possibili conseguenze ambientali e climatiche. Nel rapporto si legge anzi che “le considerazioni sui cambiamenti climatici devono essere prese in considerazione in ogni fase dell’elaborazione del progetto e saranno integrate al 100% delle strategie di sviluppo pluriennale della Banca con i Paesi partner”.

La strategia della Banca mondiale ha un arco temporale previsto di sei anni, durante i quali si propone di formare almeno dieci milioni di contadini africani nell’utilizzo di tecnologie innovative in ambito agricolo, di migliorare la gestione dei suoli e del territorio per garantire la sostenibilità su oltre 60 milioni di ettari di terreni, di incrementare di dieci gigawatt la capacità di generazione elettrica da fonti rinnovabili e di dotare almeno 30 metropoli in Africa di piani urbanistici che includano iniziative per promuovere la riduzione delle emissioni inquinanti. Secondo le stime preliminari, la Banca mondiale prevede che il nuovo piano contribuirà solo l’anno prossimo alla realizzazione di 93 progetti con finanziamenti per 19,7 miliardi di dollari.

Niger ©InfoAfrica

Al di là dei numeri e dei propositi, però, quel che appare particolarmente degno di interesse nel rapporto realizzato dalla Banca mondiale è l’impostazione scelta per valutare l’impatto climatico dei futuri progetti di investimento. Sono state infatti individuate cinque aree strategiche di indirizzo per promuovere una crescita sostenibile dal punto di vista climatico e una prosperità condivisa: sicurezza alimentare ed economia rurale resiliente, stabilità degli ecosistemi e sicurezza idrica, energia a basse emissioni di carbonio e resiliente, città resilienti e mobilità verde e, infine, shock climatici e governabilità dei rischi.

Si tratta di dimensioni tutte strettamente interconnesse e a loro volta legate ad altre tematiche dello sviluppo, come il coinvolgimento delle comunità locali, le questioni intergenerazionali, la parità di genere, la fragilità e l’inclusione sociale, che vengono in questo modo considerate componenti delle azioni per la trasformazione e l’adattamento climatico.
Ottenere i vantaggi promessi da un’economia sensibile ai fattori climatici richiede, secondo l’economista nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala, azioni ambiziose all’interno dei principali sistemi economici, come creare condizioni favorevoli all’eliminazione graduale delle emissioni di carbonio e al rapido aumento delle energie rinnovabili nel settore energetico; investire in trasporti condivisi, elettrici e a bassa emissione di carbonio nelle città; potenziare i sistemi alimentari e l’uso del suolo in maniera sostenibile; indirizzare gli investimenti verso infrastrutture idriche resilienti; ridurre le emissioni delle catene di valore industriali chiave, come la plastica.

D’altro canto, se il mondo non riesce a intraprendere e rafforzare queste azioni, continuare sull’attuale traiettoria potrebbe costringere 100 milioni di persone alla povertà estrema entro il 2030, con l’Africa che sarà la regione più esposta.
“La transizione dell’Africa verso una nuova economia climatica è in corso in molti luoghi” scrive ancora Okonjo-Iweala. La domanda è: i Paesi sviluppati creeranno un vento favorevole o un vento contrario? Il modo in cui risponderanno a questa domanda – conclude l’economista nigeriana – determinerà il futuro dell’Africa e la possibilità o meno per quest’ultima di sfruttare appieno le opportunità offerte dalla transizione a un’economia verde.

 

Biografia
Gianfranco Belgrano
Nato a Palermo nel 1973, Gianfranco Belgrano è un giornalista e si occupa soprattutto di esteri con una predilezione per l’Africa e il Medio Oriente. È direttore editoriale del mensile Africa e Affari e dell’agenzia di stampa InfoAfrica, per i quali si sposta spesso nel continente africano. Ha studiato Storia e Lingua dei Paesi arabi e vissuto per alcuni anni tra Tunisia, Siria e Inghilterra prima di trasferirsi a Roma. Ha lavorato o collaborato con varie testate (tra cui L’Ora ed EPolis) e si è avvicinato all’Africa con l’agenzia di stampa Misna, lasciata nel 2013 per fondare con alcuni amici e colleghi il gruppo editoriale Internationalia.
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