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Le città secondarie: un futuro da protagoniste nello sviluppo sostenibile dei territori

Cosa ha in comune Petra, in Giordania, con Kassala, in Sudan? Sono entrambe sedi di progetti Aics e sono entrambe città “secondarie”, quelle cioè, secondo gli esperti, che possiedono le maggiori potenzialità per lo sviluppo sostenibile dei territori.

l recente dibattito al G20 sulle città secondarie, a cui ha partecipato l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) ha alimentato una stimolante fase di studio e ricerca sullo sviluppo urbano sostenibile delle città del futuro. Le città si stanno confermando sempre più come i luoghi dell’abitare per la vita umana sul pianeta e si sta consolidando, su scala globale, l’impegno delle istituzioni ad affrontare il tema urbano come una delle sfide fondamentali del XXI secolo, strettamente connessa alla questione ambientale.
Nell’ultimo G20 a Presidenza italiana infatti anche il focus sull’applicazione dei 17 SDGs a livello locale è incentrato sulle città secondarie e sulla creazione di una piattaforma per la condivisione di buone pratiche in questo ambito. Aics, su invito della Presidenza italiana, ha dunque affiancato il ministero degli Affari esteri e la cooperazione internazionale nel Gruppo di Lavoro tematico per il coordinamento dell’Action Plan dello sviluppo sostenibile delle città secondarie. Proprio in questo contesto, l’Ufficio “Ambiente e Sviluppo del Territorio” dell’Agenzia collabora nel settore dello sviluppo urbano sostenibile con altri enti come l’Istituto nazionale di urbanistica (Ine) e il Sogesid per rafforzare il background tecnico necessario a partecipare ai lavori del Gruppo tematico.

Intanto un primo risultato concreto dell’attività svolta dal Gruppo di lavoro è già arrivato: è la nuova “Piattaforma G20 sulla Localizzazione degli SDG e sulle Città Secondarie” (G20 Plic) sulle città secondarie (comune per tutti i Paesi G20) che sarà gestita da UN Habitat e Ocse e promossa dalla Presidenza italiana del G20 che oggi passerà il testimone all’Indonesia. Le città sostenibili del futuro sono dunque quelle di media dimensione e l’Aics, come spiega l’approfondimento tematico che segue, si prepara a valorizzarne tutte le possibili potenzialità.

Kaolack, in Senegal. Un esempio di città intermedia

Se le tendenze demografiche non cambieranno, le previsioni indicano che, nel 2030, la popolazione urbana mondiale arriverà al 60.4% del totale e che tale incremento avverrà, per il 96%, nelle regioni meno sviluppate di Asia Orientale, Asia meridionale e Africa (UN-Habitat, World Cities Report 2020 – The value of sustainable urbanization), dove la crescita della popolazione è legata soprattutto a fenomeni migratori che, caratterizzati spesso da rapidità ed urgenza, hanno come corollario l’aumento dell’ineguaglianza e del consumo di suolo, non controllato.

La gestione sostenibile degli ambiti urbani e della loro crescita ha, quindi, un impatto significativo sulla lotta alla povertà e al cambiamento climatico e, per questo, le città sono diventate un punto chiave dell’Agenda 2030.
Particolarmente problematico è il crescente squilibrio territoriale fra poche città sovraffollate e il resto del territorio nazionale. Spesso i centri minori e le aree rurali sono completamente sconnesse dalle città principali e prive di infrastrutture stradali e servizi adeguati. Questo forte divario ha come conseguenza un’incredibile pressione sulle città principali e mina la sicurezza ambientale, sociale, alimentare e sanitaria dei loro abitanti. Per bilanciare questo divario ed alleggerire il peso delle località principali (in genere capitali) occorrono investimenti orientati al potenziamento delle città cosiddette secondarie/intermedie che per la loro minore dimensione e popolazione, si prestano ad accogliere con maggiore equilibrio le dinamiche urbane, sociali, ambientali ed economiche garantendo anche un rapporto più integrato con la campagna e i sistemi di produzione alimentare.

Con il termine città secondarie si intendono comunemente le città di secondo o terzo livello rispetto ad un sistema gerarchico di città definito in base alla popolazione, su scala nazionale, in cui le città primarie, metropoli o megalopoli, coincidono quasi sempre con le capitali, politiche o economiche.
Le città secondarie possono avere dimensioni variabili a seconda dei contesti: in Etiopia non superano i duecentomila abitanti, mentre in India o in Cina possono arrivare anche a più milioni. Di fatto, il ruolo di queste città non si basa sul valore assoluto della popolazione che le abita, ma sulle relazioni di dipendenza o di reciprocità che esse instaurano con gli altri nuclei territoriali.

Nei paesi più poveri ed in particolare in Africa, le città secondarie sono spesso prive di infrastrutture e di servizi di base, non connesse con il resto del territorio e con scarse opportunità di crescita. Il loro potenziale di generare sviluppo economico e nuovi posti di lavoro è spesso sottovalutato, con la conseguenza che non vengono ad esse dedicate le risorse e gli investimenti necessari per promuoverne l’attrattività e la crescita economica o, in caso di città esistenti, la rivitalizzazione. I fenomeni di urbanizzazione continuano così a riversarsi prevalentemente sulle città primarie, che vengono intese come luoghi di opportunità ma che invece, sempre più di frequente, accolgono povertà e diseguaglianze e generano gravi disfunzioni agli ecosistemi naturali. Nelle città secondarie arrivano soprattutto migranti e profughi, in transito o per periodi più lunghi, che anziché essere visti come potenziali portatori di sviluppo sono identificati quasi sempre come un problema, in quanto si ritiene che possano aggravare ancor di più sistemi di per sé fragili. È evidente che favorire lo sviluppo economico delle città secondarie, sia a scala nazionale che regionale, risulta una strategia importante da mettere in atto per promuovere nuove prosperità economiche e decongestionare i nuclei primari.

Tuttavia, nei Paesi poveri molte città secondarie, ad oggi, non dispongono delle risorse necessarie per valorizzare le proprie opportunità ma, al contrario, soffrono di emarginazione, povertà e grande vulnerabilità ai fenomeni naturali e migratori.
Per favorire la crescita e lo sviluppo sostenibile delle città secondarie, sono necessari, nei diversi settori, investimenti per azioni congiunte che pur dovendo adattarsi ai contesti specifici, hanno caratteristiche comuni (v. BOX).

Il valore aggiunto italiano 

L’Italia ha una tradizione secolare di città secondarie, che costituiscono una solida rete territoriale e possono costituire esempi eccellenti di buona governance per i Paesi partner attraverso un costruttivo trasferimento delle tante conoscenze e competenze italiane nel settore pubblico e privato.
C’è dunque uno stretto legame tra città secondarie e sviluppo rurale del territorio in cui il tema centrale del cibo, associato a quello della sicurezza alimentare, è intrinseco alla cultura e alla tradizione italiana (come dimostrato già con Expo di Milano 2015).
Molte città secondarie nei Paesi partner però non hanno credibilità per ottenere i finanziamenti necessari per la realizzazione delle infrastrutture, né sono interessanti per partenariati pubblico-privati o per investitori privati poiché può mancare il rientro finanziario, il mercato è ridotto e i rischi sono troppo elevati. Per questo è importante innescare progetti di finanza mista, o impact investing, dove le componenti a dono della cooperazione possono divenire complementari o svolgere da garanzia per quelle a credito o in partenariato con i privati.

Sviluppo sostenibile: più opportunità per le città intermedie

Le città secondarie dei Paesi partner, più delle città primarie, hanno caratteristiche che favoriscono lo sviluppo sostenibile grazie alla dimensione territoriale ridotta, che ne facilita la gestione. Le migliori opportunità dovranno però essere sostenute da opportuni interventi di Aics perché le città secondarie realizzino in pieno le loro potenzialità.
Tra le opportunità si possono citare le seguenti: Il rapporto tra cittadini e istituzioni è più diretto e consente una partecipazione più efficace tra la comunità e i suoi rappresentanti; la dimensione umana è più comunitaria e rende più facile creare reti sociali su cui appoggiarsi e controllarsi a vicenda per prevenire la criminalità; la gestione del territorio, incluse infrastrutture e servizi, da parte dell’amministrazione è più semplice; la mobilità interna grazie alle distanze ridotte presenta una minore congestione del traffico; il rapporto con i territori rurali è più diretto e la catena di produzione alimentare più corta (anche a Km zero); l’impronta ecologica, consumo di suolo ed inquinamento, è minore e consente una qualità di vita più sana.
Tali opportunità possono trasformarsi in interventi per migliorare la governance, definire una visione per la città e un piano di sviluppo integrato, rafforzare lo sviluppo economico sostenibile¸ creare una forte connessione tra la campagna e il territorio, rafforzare i sistemi finanziari urbani sostenibili, proteggere l’ambiente e migliorare la resilienza, investire sul capitale sociale, connettere la città al resto del territorio e al proprio interno, migliorare la dotazione di infrastrutture di base e di abitazioni.

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