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Libano: l’oro verde di Hasbaya rifiorisce per rispondere alla crisi

Si chiama Mount Hermon ed è il nome dato all’olio di oliva bio che adesso viene prodotto nel sud del Libano grazie a un progetto di Aics e Celim. Il progetto si è concluso da poco e ha portato all’apertura di mercati nuovi in Germania e in Giappone

Da qualche tempo sugli scaffali dedicati all’equo e solidale in Germania e in Giappone c’è in vendita un olio d’oliva biologico che ha un sapore particolare perché parla di voglia di riscatto e racchiude in sé i sacrifici e il lavoro della comunità contadina di Hasbaya, nel sud del Libano.

La bellezza del Libano è legata alla sua storia e alla sua geografia. In pochi chilometri si passa dal mare alle montagne, da una comunità a un’altra, da una religione a un’altra. Ed è questo che rende il Libano così speciale, un mosaico prezioso e delicato che si ritrova anche ad Hasbaya, cittadina antica ai piedi del Monte Hermon, uno dei luoghi simbolo di questa parte del Mediterraneo.

Filari di olivi ad Hasbaya.© Celim

L’olio bio arrivato in Germania e in Giappone da questo angolo del Libano è frutto di un progetto finanziato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) e condotto da una ong milanese, Celim, in collaborazione con partner internazionali e locali: Ingegneria senza Frontiere Milano, El Khalil Foundation, la cooperativa Chico Mendes Onlus, la municipalità di Hasbaya. “In seguito alle varie crisi che hanno toccato il Libano tanta gente è tornata in campagna, per questo Aics ha sostenuto e sta sostenendo una serie di interventi per le attività nel settore dello sviluppo rurale tramite un accompagnamento per migliorare la produzione, partendo dal cooperativismo e assicurando la tutela dell’ambiente” sottolinea Alessandra Piermattei, titolare della sede di Beirut dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics). Anche il nome con cui l’olio viene commercializzato non lascia dubbi sulla provenienza: si chiama infatti Mount Hermon, in onore di questo massiccio che tanto ha caratterizzato la storia di queste terre, fin dal tempo dei fenici.

Le sfide da superare erano diverse”, racconta Ludovica Destro, junior project manager di Celim, sottolineando come quella di Hasbaya sia un’economia molto legata alla coltura dell’olivo, con oltre due milioni di alberi piantati. “C’era un problema di qualità, c’era un prodotto non competitivo sui mercati e c’era una filiera non sostenibile da un punto di vista ambientale con grandi volumi di scarti che venivano riversati nel fiume Hasbani o nei campi”.

Una bottiglia di olio Mount Hermon. © Celim

La risposta a queste sfide si è trasformata in un’azione articolata che ha coinvolto l’intera filiera creando un valore aggiunto che, in prospettiva, potrà ulteriormente crescere, rafforzando la sostenibilità ambientale. A beneficiarne in maniera diretta sono stati 250 olivicoltori, 110 dei quali hanno aderito a un consorzio per poter usufruire di una serie di servizi (affitti di materiali, attrezzature, consulenze) a prezzi agevolati.

“Abbiamo appena chiuso il progetto e trasformato quelle sfide iniziali in opportunità di crescita” prosegue Ludovica Destro. “La qualità delle olive è migliorata grazie all’adozione di una serie di accorgimenti e questo era un primo passaggio fondamentale per l’ottenimento di un prodotto finale di livello superiore”. Stesso discorso per il frantoio. “Quello di riferimento per il progetto è il frantoio di Ain Jarfa, che ha la certificazione biologica e utilizza acqua potabile durante le lavorazioni”. Infine, il terzo anello della catena ha riguardato marketing e commercializzazione. “La possibilità di vendere l’olio di oliva bio in Germania e Giappone ha consentito di creare valore aggiunto a fronte di costi di produzione alti a causa dell’inflazione galoppante. Possibili sbocchi futuri potrebbero essere i Paesi del Golfo e i canali della diaspora”.

Per ogni singolo passaggio c’è stata un’attenzione all’ambiente. Grazie alle analisi del suolo è stato possibile dare indicazioni sulla corretta concimazione dei terreni. I principali frantoi dell’area sono poi stati dotati di vasche per la raccolta delle acque utilizzate per la molitura delle olive evitando che fossero sversate nel fiume o nei terreni limitrofi e che anzi venissero impiegate, dopo averle fatte decantare, per fertilizzare la terra. Infine è stato costruito un impianto di compostaggio a Kawkaba per utilizzare gli scarti organici derivanti dalla lavorazione delle olive e dalla potatura degli alberi.

Olive. © Celim

L’olio di oliva per i contadini di Hasbaya rappresenta l’unica vera fonte di reddito. Le altre produzioni sono, di fatto, irrisorie e servono a coprire in genere le esigenze familiari. Per questo motivo, intervenire in questo ambito e in un’area caratterizzata da un forte tasso di emigrazione è stato significativo e, in alcuni casi, ha anche aperto al ritorno di giovani che avevano lasciato il Libano per motivi di lavoro.

 

L’olio biologico di Hasbaya è una certezza in un momento molto particolare del Paese e non è destinato solo ai mercati internazionali, come sottolinea Gianluca Bozzia, program manager di Chico Mendes Onlus: “Il Libano sta vivendo un momento economico e politico difficile, le istituzioni sono fragili: da tempo manca un presidente della Repubblica e il governo è provvisorio”. La pandemia di covid, l’esplosione nel porto di Beirut, la crisi economica, il crollo della valuta locale hanno ridotto il potere d’acquisto della popolazione libanese e di conseguenza il mercato per prodotti di grande qualità è limitato. “Nonostante ciò – conclude Bozzia – stiamo provando a vendere l’olio Mount Hermon anche localmente: non è semplice ma ci stiamo provando”.

“In un mercato e in un mondo sempre più globalizzati – conclude Alessandra Piermattei – la qualità per i prodotti alimentari non è più un valore aggiunto, ma un requisito essenziale nella competizione commerciale. La Cooperazione italiana è intervenuta con un progetto che rappresenta una opportunità concreta di avviare un processo di sviluppo economico e sociale ecosostenibile”.

Biografia
Gianfranco Belgrano
Nato a Palermo nel 1973, Gianfranco Belgrano è un giornalista e si occupa soprattutto di esteri con una predilezione per l’Africa e il Medio Oriente. È direttore editoriale del mensile Africa e Affari e dell’agenzia di stampa InfoAfrica, per i quali si sposta spesso nel continente africano. Ha studiato Storia e Lingua dei Paesi arabi e vissuto per alcuni anni tra Tunisia, Siria e Inghilterra prima di trasferirsi a Roma. Ha lavorato o collaborato con varie testate (tra cui L’Ora ed EPolis) e si è avvicinato all’Africa con l’agenzia di stampa Misna, lasciata nel 2013 per fondare con alcuni amici e colleghi il gruppo editoriale Internationalia.
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