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Intervista alla nuova vice Ministra degli Esteri, Emanuela Del Re

“La soluzione? E’ la cooperazione. Soprattutto per l’Africa. La nostra ambizione si chiama sviluppo condiviso, che porti benefici a tutti”. Ad affermarlo è Emanuela Del Re, Vice ministra degli Esteri con delega alla Cooperazione internazionale. Le considerazioni che svolge portano il segno di un vissuto fatto non solo di studi e insegnamenti accademici, ma di una lunga esperienza maturata sul campo, in zone di conflitto.

“Tra la gente – sottolinea con orgoglio ed emozione la Vice ministra – mostrandoci foto con rifugiate siriane o donne yazide fuggite dall’inferno dello Stato islamico”. Nel suo ufficio alla Farnesina fa bella mostra di sé un poster di Nelson Mandela. “Era un suo manifesto elettorale – racconta Del Re – ero giovane, e seguì quel voto storico per il Sudafrica come osservatore internazionale, e ‘conquistai’ quel manifesto arrampicandomi su un lampione”. Ed anche oggi che è divenuta la numero due della Farnesina, quando parla di Africa, Emanuela Del Re tiene assieme sentimento e ragione, per affermare che l’”Africa è una opportunità e non una minaccia”.

 

Quando si parla o si scrive di Africa, i sentimenti che sembrano prevalere, sono quelli della paura, dell’insicurezza, del “dobbiamo difenderci”. Da studiosa oltre che da Vice ministra le chiedo: ma l’Africa è davvero solo questo, per noi italiani, per noi europei?

”Da studiosa e ora da chi ha assunto la responsabilità di un settore, quello della Cooperazione internazionale che ritengo strategico per lo sviluppo del nostro Paese e per i Paesi beneficiari, le rispondo reinterpretando questa visione. L’Africa in realtà è un continente di risorse. E lo è da tanti punti vista, non soltanto perché è un partner strategico su tutti i fronti, anche quelli della sicurezza, naturalmente. Gli aspetti negativi vanno ricordati e guai a sottovalutarli i traffici illeciti, il terrorismo, ma anche le condizioni climatiche che spesso causano grandi crisi. Ma l’Africa non è solo questo. E’ anche e soprattutto altro. E’ l’Africa delle tante e importanti opportunità. Perché l’Africa è un continente giovane, è un continente di grande innovazione e creatività. E’ un continente dove le risorse umane costituiscono davvero un grandissimo patrimonio, soprattutto perché è orientato, come interessi e valori, verso l’Europa. In questo momento prevale indubbiamente l’aspetto dell’immigrazione, che come noi sappiamo è sempre molto dolorosa, ma in prospettiva, se si avrà la capacità e la determinazione per creare obiettivi di sviluppo reali, stabili e duraturi, in loco, nei Paesi di origine, l’Africa potrà essere un continente di grandi cambiamenti e di nuove opportunità economiche, sociali e politiche”.

Ripartirei da quest’ultima affermazione, importante e impegnativa, soprattutto dopo mesi nei quali si è molto detto, scritto e polemizzato su un’affermazione: “Aiutiamoli a casa loro”. Per Lei cosa significa realmente “aiutarli a casa loro”?

”Significa realizzare le condizioni, in positivo, per uno sviluppo condiviso, che sia tale perché definisce nuove relazioni tra Paesi donatori e Paesi beneficiari. E su questo mi lasci sottolineare un dato che, come Italia, dovrebbe inorgoglirci…”.

Vale a dire?

”Nel campo della cooperazione siamo un gigante. Siamo il quarto Paese nel G7 in termini di percentuale tra Aiuto pubblico allo sviluppo e reddito nazionale lordo (0,30% raggiunto quest’anno con alcuni anni di anticipo rispetto a quanto previsto).

Aiutarli a casa loro vuol dire creare un rapporto donatore-beneficiario che non sia unidirezionale ma che sia bidirezionale, e cioè che tutti e due, sia il donatore, nel caso specifico l’Italia, sia i Paesi beneficiari, un discorso che non riguarda solo i Paesi africani, possano tutti e due beneficiare da questo rapporto, in una soluzione che corrisponda realmente alle esigenze del Paese beneficiario e che allo stesso tempo dia al Paese donatore, la possibilità di portare avanti un rapporto importante, privilegiato, di valori condivisi, di crescita comune che nel tempo proponga soluzioni strutturali a lungo termine.

Fino ad ora, direi che il concetto di ‘aiutiamoli a casa loro’ in realtà è stato un po’ legato ad una visione del passato, cioè quella che si rimanga nel Paese di origine con una concezione caritatevole dell’aiuto. Deve cambiare tutto questo, e può cambiare soprattutto perché i nostri attuali beneficiari sono, ci tengo a ribadirlo, veramente di grande capacità. Si tratta di Paesi che possono offrire grandissime risorse al punto da rendere obsoleto lo stesso paradigma donatore-beneficiario”.

Non c’è il rischio, paventato spesso da quanti, volontari, Ong, agenzie internazionali, operano sul campo, che si finisca per finanziarie dei regimi dittatoriali che tutto hanno a cuore tranne gli interessi dei loro popoli. In termini ancora più diretti e un po’ brutali: l’Italia in Africa cerca interlocutori per la crescita, non solo economica ma civile, politica, democratica, o dei Gendarmi che custodiscano, non importa come, le frontiere esterne?

”È una domanda complessa, che merita una risposta di ordine politico che però richiede anche alcune puntualizzazioni tecniche necessarie per comprendere appieno l’andamento di alcune dinamiche ed equilibri internazionali. L’Italia in Africa si è sempre mossa su più fronti e con un impegno che sta nei fatti: siamo tra i donatori maggiori, con un grande impegno in tantissimi Paesi, abbiamo una delle reti diplomatiche più importanti, in termini quantitativi e qualitativi. Di Africa si parla quasi sempre per rimarcare conflitti e negatività. Ma in quel continente delle opportunità e del cambiamento possibili, avvengono anche fatti di segno opposto, che aprono il cuore alla speranza…”.

A cosa si riferisce?

”All’accordo di pace fra Etiopia ed Eritrea, un percorso difficile (come dimostrano le recenti violenze ad Addis) ma che testimonia una visione lungimirante). Ebbene, in quei Paesi operano due grandi scuole italiane che fanno crescere la classe media locale. E’ un esempio, per dire che l’Italia si è mossa su questo fronte per aiutare l’affermarsi di solide basi, anche politiche, dall’interno, attraverso l’intervento, prezioso della nostra Cooperazione, di tante Ong, o con il finanziamento di progetti di sviluppo che sono certificati, assolutamente ben monitorati in ogni passaggio e che prevedono un percorso articolato con il controllo dei risultati. Sappiamo bene che esistono situazioni alquanto problematiche, ma anche in quel caso intervenire con una visione positiva, di sostegno alla crescita e allo sviluppo della società, è di fondamentale importanza, anche in una ottica di sicurezza. Vogliamo parlare di Libia?”.

Mai argomento è di così stringente attualità…

”La Libia, che è un Paese molto difficile in questo momento, è una realtà che viene affrontata su più fronti. Uno di essi, che a me è particolarmente caro e nel quale credo profondamente, è quello scaturito dall’accordo firmato venerdì scorso a Bruxelles, tra l’Unione Europea e l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo. Si tratta di un accordo che vede l’Italia protagonista, in quanto l’Ue ha stanziato 50 milioni di euro, dei quali 28 sono andati alla gestione dell’Undp ma 22 sono stati delegati dall’Unione Europea all’Italia e l’Italia è orgogliosissima di questo perché con questi 22 milioni potremo aiutare ben 24 comuni della Libia non soltanto a ricostruire le infrastrutture, strade, ponti, ma anche il tessuto della società, perché potremo contribuire alla ricostruzione delle amministrazioni locali , fare in modo che vi sia una società civile funzionante, e da questo punto di vista io credo che si tratti di una delle più belle occasioni per l’Italia di partecipare alla ricostruzione in un momento in cui la Libia è uno di quei Paesi che potrebbe farci pensare alla necessità di un ‘gendarme’. Ma la nostra risposta è ben altra: accompagniamo, prendiamo per mano la società libica e cerchiamo di portarla, insieme, verso il futuro”.

Guardando alla Libia e più in generale all’Africa, Lei ritiene che la “diplomazia degli affari” e quella dei diritti umani possano non solo conciliarsi ma trovare una sintesi virtuosa?

”Siamo in un momento storico di grandissimo fermento intellettuale e aggiungerei di grande consapevolezza dei problemi dell’essere umano, su tutti i fronti e a tutte le latitudini. Questo ci fa pensare che è vero che da un lato il mondo imprenditoriale spesso in passato ci è apparso arido o ha trovato degli ostacoli profondi, ad esempio sul terreno della sicurezza, è vero anche che abbiamo una larghissima quantità di imprese che lavorano comunque anche nelle zone più difficili, come l’Etiopia dove noi abbiamo una forte presenza imprenditoriale.

A questo si somma il fatto che il mondo imprenditoriale è oggi consapevole dell’impatto sulle società locali, per cui ritengo che possa essere un veicolo fondamentale per portare valori, come quelli italiani, che sono valori di condizioni di lavoro oneste, rispettose, eticamente accettabili, e che quindi diventano un riferimento di sviluppo sostenibile a lungo termine basato sul rispetto dei diritti umani, In questo panorama, anche gli imprenditori e il mondo degli affari diventa, quando è onesto ovviamente, un punto di riferimento valoriale. Più noi uniamo i vari fronti’ come quello della politica, insieme a quello dello sviluppo sociale, le Ong, che sono fondamentali, e dunque la società civile, con il mondo dell’imprenditoria, più potremo avere risultati importanti risultati concreti”.

Lei ha una delega importante: quella alla Cooperazione internazionale. Come risponde a quanti, anche nel mondo politico, sostengono che spendere soldi pubblici in questo campo è un “lusso” che l’Italia non può permettersi?

”Rispondo che il mondo globalizzato non ci isola. Mai. Noi non siamo più isole ma siamo invece arcipelaghi ben connessi. Questo vuol dire che qualunque cosa accada in questa piccola parte di mondo in cui viviamo ha una enorme ripercussione altrove e viceversa. Questo insegna anche che la cooperazione, come è implicito nel termine stesso, è un modo di operare insieme per qualcosa.

Quel qualcosa inerisce il nostro futuro e di conseguenza dobbiamo avere piena e forte consapevolezza di quanto sia importante investire anche in Paesi terzi perché il riflesso di questo investimento sul nostro mondo è assolutamente positivo, ma non nel senso della divisione, dell’allontanamento o della parcellizzazione del mondo globalizzato, bensì nel senso di una forte unità. I giovani, su cui penso che si debba investire moltissimo, sono giovani ormai globalizzati, senza confini.

Il giovane globalizzato, da dovunque venga, è quello che si fa portatore, se ha avuto una interazione proficua ad esempio attraverso la cooperazione, con Paesi che hanno già fatto un percorso di acquisizione di normative, di costituzioni, di leggi che hanno permesso l’affermazione dell’individuo con tutti i suoi diritti, soprattutto se debole, quel giovane globalizzato è un giovane che diventerà un ambasciatore di progresso e stabilità nel mondo, un agente sociale produttore di rimesse sociali.

Questo è anche un impegno che deve vedere protagonista l’Europa nel suo insieme, per rilanciare i suoi valori fondanti che sono quelli dell’inclusione, del rispetto dei diritti umani, dell’apertura verso l’altro, della consapevolezza di avere una grande opportunità di poter condividere problemi e di poterli affrontare insieme, anche per il bene di quello che è il vicinato. E’ importante continuare a guardare ad Est, ma certamente l’impegno importante adesso è quello di far crescere un continente di grandi risorse come è l’Africa. Un continente che appartiene al Mediterraneo, che condivide, nel bene e nel male, una storia con grandi Paesi europei. Un continente che guarda con favore ai valori europei, in cui tende sempre più a riconoscersi. E questa è una opportunità che non possiamo perdere”.

L’Africa è anche speranza. Sul piano politico, qual è quella più importante degli ultimi tempi?

”L’ho già accennato in precedenza: l’accordo di tra Etiopia ed Eritrea. E’ la più bella notizia di quest’anno, che ci riempie di grandissima gioia. E’ un segnale importantissimo, che ci viene soprattutto dal giovane premier etiope, Ably Ahmed Ali, il più giovane primo ministro africano, una persona che ha avuto la grande intelligenza di credere, al di là delle ideologie o del problema dei confini, nell’elemento propulsivo che consiste nella pace. Questo suo enorme coraggio va riconosciuto e sostenuto, assieme all’Eritrea che ha creduto nella possibilità del processo. Una pace alla quale potrà contribuire anche l’Europa e il nostro Paese, L’Italia nel biennio 2017-2018 ha donato oltre 81 milioni di euro per interventi di sviluppo e umanitari in Etiopia, Somalia ed Eritrea, e contributi di aiuto all’Eritrea pari a 47 milioni di euro. Gli stanziamenti potrebbero crescere, anche in funzione degli sviluppi del processo di stabilizzazione nella regione. Un investimento sul futuro. Un futuro di pace e di cooperazione, con i giovani globalizzati come protagonisti”.

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