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Luigi Corvo, arriva la svolta dell’impact investment

Impact investment, finanza sostenibile, metriche e tassonomia. Non è sempre automatico orientarsi nella finanza che non guarda solo al profitto ma valuta anche impatti sociali e ambientali. Oltremare ne ha parlato con Luigi Corvo, ricercatore dell’Università di Tor Vergata e grande esperto in materia.

Come si definisce la finanza sostenibile?

La finanza sostenibile supera la dicotomia fra la finanza cosiddetta convenzionale, che investe soltanto se ci sono possibili ritorni finanziari, e la finanza filantropica con impatto sociale, che si sostanzia nei grant e donazioni. La finanza sostenibile va invece ad investire su progetti, investimenti, iniziative in grado di tenere insieme le tre facce del valore: economico, sociale ed ambientale. Le performance degli investimenti vengono valutati sotto tre punti di vista e non sotto uno soltanto. Dunque gli impatti economici, sociali ed ambientali e il loro valore devono quantomeno eguagliare l’allocazione finanziaria che è stata decisa per quel progetto.

Per la finanza sostenibile sono disponibili una serie di strumenti, come i social bond o green bond..

La definizione corretta è social impact bond, i Sim. Ce ne sono di varie tipologie a seconda dell’impatto, come i Dib, Development impact bond, Hib, Humanitarian Impact Bond, ecc. La differenza sta nel fatto che nel momento in cui si inserisce la parola “impatto” si lega la restituzione del capitale e il tasso d’interesse in base all’impatto raggiunto è questa.

Come funzionano?

Spesso sono strumenti di partenariato pubblico-privato, dove le due parti stipulano un accordo in cui definiscono quali sono gli obiettivi di impatto che si intendono raggiungere con quelle scelte di investimento, determinando ex-ante sotto quali condizioni di impatto si regolano i flussi di rientro del capitale.
Il soggetto privato in questo partenariato ha tre grosse funzioni: allarga l’ampiezza delle risorse disponibili per gli investimenti, quindi oltre la dotazione pubblica disponibile; partecipa all’allocazione del rischio – quello che prima era a rischio pubblico oggi diventa un rischio misto pubblico privato; riduce le classiche distorsioni tipiche della finanza pubblica, che non ha gli stessi criteri di efficienza di chi investe capitale di rischio.

Il soggetto privato quindi anticipa le risorse finanziarie?

Esatto. Risolvendo uno dei problemi di efficienza classico della Pa, relativo ai ritardi di pagamento o all’eccesso di compliance amministrativa necessaria per il trasferimento di risorse.

Luigi Corvo, da sito web Open Impact 

Ma quanto sono impiegati oggi questo tipo di strumenti?

A livello globale abbiamo circa 500 miliardi di euro impiegati oggi nella finanza d’impatto. Si veda il monitoraggio costante fatto da Social Finance Uk dove rintracciare singoli progetti finanziati a livello globale e l’ammontare di capitale impiegato. A questo va aggiunto un ammontare di capitale ancora non impiegato ma messo a disposizione dall’offerta, che trova però difficoltà nell’incontro con la domanda.

C’è un problema di eccesso di offerta di capitale rispetto alla domanda di capitali in questo mercato?

Si, non ci sono organizzazioni e pubbliche amministrazioni pronte, dati anche i molti ostacoli burocratici Noi stiamo lavorando per esempio con la Presidenza del Consiglio dei ministri per un fondo per l’innovazione sociale che ha l’impact investing come meccanismo finanziario e stiamo risolvendo uno ad uno tutti i limiti di contabilità pubblica, di codice degli appalti, tutti i vincoli legislativi giuridici per favorire l’implementazione dell’impatto investing. C’è un problema di prontezza degli Impact Maker e di readiness dei policy maker. E’ fondamentale la preparazione della Pa.

Esg, Gri, Impact investing, sono tante le tassonomie per misurare i valori non finanziari..

Stiamo andando – per ora – verso una divergenza di tassonomia. Il settore finanziario punta sulla tassonomia ESG, il settore corporate impiega il Gri, Global Reporting Initiative che guarda agli SDGs, il terzo settore incluse le Osc, rispondono alle logiche di rendicontazione sociale previste dalla riforma del Terzo Settore (bilancio sociale, valutazione di impatto, ecc). Noi abbiamo bisogno di integrare in modo sempre più convergente i vari framework. Questi rating rispondono ad esigenze diverse e necessità di accountability diverse. Il mondo corporate guarda molto di più alla sostenibilità interna dell’organizzazione e meno a quella esterna. Tutto il mondo invece della cooperazione guarda alla accountability di progetto esterna e molto meno quella interna. Gli Esg hanno due componenti prevalentemente di sostenibilità esterna, social e environmental e una componente invece di sostenibilità interna, la governance. Queste tassonomie vanno dall’impatto di portafoglio quindi dell’offerta di capitale e quindi dei portafogli d’investimento all’impatto dei programmi per alimentare le rendicontazioni non-finanziarie, non-financial disclosure. Ma devono trovare un’armonia complessiva

Ci sono tentativi in questo senso?

[I tentativi più interessanti sono le blended disclosures, ovvero rendicontazioni finanziarie miste a rendicontazioni sociali e ambientali. In questo modo si può monetizzare il raggiungimento di impatti sociali ed ambientali positivi. Questo tipo di disclosure renderebbe possibile intervenire sui processi decisionali e quindi dire perchè è preferibile investire in un progetto piuttosto che in un altro. Si possono usare delle proxy finanziarie che monetizzano l’effetto ,ad esempio sulla riduzione delle emissioni di Co2, dall’impatto positivo sui costi sanitari alla riduzione del rischio. Oggi siamo arrivati a mappare oltre 2.000 proxy finanziarie che consentono di commutare unità di impatto sociale-ambientale in unità monetarie economico-finanziarie.

Altri esempi?

Beh, tutti gli investimenti in shelter o social housing abbattono la spesa sanitaria perché le persone senza casa tendono ad avere un tasso di ospedalizzazione molto maggiore e quindi ci sono dei riflessi positivi sulla sostenibilità del sistema sanitario.

Misurare gli impatti ambientali diviene sempre più fattibile, come misuriamo gli impatti sociali?

Noi abbiamo creato uno spin off universitario che si chiama Open Impact. Se per l’impatto ambientale esistono tre standard consolidati a livello internazionale quindi oggi usati da tutti e comparabili ( riduzione di Co2 ,tasso di riciclo e riutilizzo dei materiali e impronta ecologica), OpenImpact cerca una metrica condivisa del sociale. Per questo abbiamo mappato quanti modelli esistono. Sono emersi ben 98 modelli che propongono soluzioni per misurare l’impatto sociale. Invece che realizzare il 99esimo, abbiamo raccolto i dati di tutta quella comunità globale di misuratori dell’impatto sociale e costruito un database con tutti i benchmark di misurazione prodotti fino ad oggi, in modo tale che applicando strumenti digitali e machine learning riusciamo a ottenere il benchmark con la minore approssimazione possibile all’esigenza di valutazione di metriche che ogni progetto richiede. In questo modo possiamo abbattere il costo marginale della valutazione perché diventerebbe diffuso e portando ad informazioni sempre più accurate. Al momento abbiamo un database con circa 37 miliardi di euro di investimenti su cui sappiamo tutto e tutti gli impatti sociali. Sempre di più disporremo di informazioni e modelli per far crescere finanza sostenibile e impact investing.

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