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Il clean cooking che fa bene alla salute, all’ambiente e alle pari opportunità

In Asia e Africa oltre due miliardi di persone usano ancora legna e carbone per cucinare con effetti disastrosi sulla salute, di donne e bambini in particolare. Qualcosa si muove, il tema è stato affrontato anche a Cop28, ma la strada è ancora lunga

Un nemico che sta attirando grande attenzione, l’Household Air Pollution (Hap, l’inquinamento dell’aria negli interni); un numero esorbitante di persone coinvolte, 2,3 miliardi; un altrettanto impressionante numero di morti, 3,7 milioni; un obiettivo che si fa fatica a raggiungere, il clean cooking, pratiche di cottura, cioè, che utilizzano fonti pulite. Non sono gli ingredienti di un prossimo film catastrofista, sono dati dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) ed è la triste realtà legata all’uso di legna e carbone per cucinare. Più di due miliardi di persone nel mondo, infatti, per preparare il cibo sono costrette a utilizzare biomassa legnosa e quasi quattro milioni – soprattutto donne e bambini – sono coloro che ogni anno muoiono prematuramente a causa di intossicazioni o di malattie respiratorie. E c’è un altro tassello parte integrante di questo quadro, la deforestazione, che pratiche di questo tipo si portano dietro.

La recente crisi energetica e il contesto inflazionistico seguito alla pandemia di covid-19 e ai diversi conflitti scatenatisi in breve tempo, hanno esposto i consumatori a una duplice minaccia di riduzione del reddito e aumento dei prezzi del combustibile pulito per cucinare. Alcuni Paesi, sottolinea ancora la Iea, hanno implementato politiche per contrastare questa tendenza, ma in Africa subsahariana milioni di persone sono tornate all’uso tradizionale della biomassa. Ciò ha comportato, tra il 2020 e il 2022, un rallentamento dei miglioramenti che pure si stavano facendo.

Woman cooking with improved fireplace, in household in Bertoua, East Cameroon. Photo by Emily Pinna/Cifor

Woman cooking with improved fireplace, in household in Bertoua, East Cameroon. Photo by Emily Pinna/Cifor

Le zone più interessate dal fenomeno sono l’Asia e l’Africa. In Asia si trova il 55% della popolazione mondiale senza accesso a fonti per poter cucinare in maniera pulita, 1,2 miliardi di persone che usano la più economica e facilmente accessibile biomassa. Questa cifra è nove volte superiore al numero di persone che non hanno accesso all’elettricità. In molti Paesi asiatici i passi avanti sono stati possibili grazie a programmi di fornitura di bombole di gpl e questo ha consentito in nazioni popolose come India e Cina di alzare la soglia del clean cooking rispettivamente al 68% e all’87% della popolazione.

Facendo sempre riferimento ai dati Iea, in Africa subsahariana sono 29 i Paesi con tassi di accesso a una cucina pulita inferiori al 20% e, dato più preoccupante, negli ultimi anni si è assistito a una crescita del fenomeno: nel 2022 a usare legna e carbone per cucinare sono state 990 milioni di persone.

L’esperienza di Avsi

A livello internazionale, è stata creata la Clean Cooking Alliance (Cca), un’organizzazione che lavora con una rete globale di partner per costruire un’industria inclusiva in grado di rendere la cucina pulita accessibile a tutti. Istituita nel 2010, la Cca sta mobilitando investimenti e sostenendo politiche per far prosperare la cucina pulita. Ogni due anni circa la Cca organizza il Clean Cooking Forum e l’ultima edizione si è tenuta ad Accra, in Ghana, nel 2022.

Tra gli altri vi ha partecipato l’ong italiana Avsi, che al Forum di Accra ha portato la sua esperienza. Intervenendo in un panel, Alessandro Galimberti, responsabile di Avsi per il cambiamento climatico, ha detto che non esiste una ricetta unica per favorire il passaggio da una soluzione tradizionale di cottura ad una più pulita, sostenibile e efficiente: “Ogni comunità, ogni famiglia ha le sue abitudini, le sue barriere culturali ed economiche. Bisogna ‘semplicemente’ conoscerle. Identificare i loro bisogni, anche attraverso studi e ricerche, ma soprattutto attraverso la presenza al loro fianco. Stando con loro. E facendosi aiutare da loro a elaborare campagne di sensibilizzazione efficaci”. Avsi ha realizzato progetti di clean cooking in sette Paesi africani dando lavoro a quasi 200 persone, distribuendo circa 80.000 sistemi di cottura migliorati all’anno a beneficio di circa 500.000 persone vulnerabili.

© Carbonsink

L’Africa alla Cop28

Ma l’Africa stessa ha consapevolezza del problema e ha cominciato a muoversi con più decisione e unità di intenti. A fare da portabandiera è stata, forse non a caso, una donna, la presidente della Tanzania Samia Suluhu Hassan. La presidente tanzaniana, a Dubai per la Conferenza sul clima (Cop28), ha presentato l’Africa Women Clean Cooking Support Program (Awccsp), una iniziativa sostenuta a livello continentale che a Dubai ha visto la compresenza tra gli altri del presidente del Sudafrica, Cyril Ramaphosa, del presidente della Banca africana di sviluppo (AfDB), Akinwumi Adesina, e di numerosi rappresentanti governativi africani e internazionali.

La presidente Hassan ha evidenziato che l’80% delle famiglie in Africa subsahariana ancora si affida alla biomassa legnosa per cucinare, con un impatto significativo sulla salute delle donne e delle ragazze. Il programma Awccsp mira a garantire che il tempo trascorso nella raccolta di legna venga utilizzato in attività economiche produttive, migliorando in questo modo anche la qualità della vita delle donne e non soltanto la salute. Il capo di Stato tanzaniano ha ricordato come l’uso della legna abbia accelerato la deforestazione, con la perdita di 3,9 milioni di ettari di foreste in Africa tra il 2010 e il 2020, evidenziando al contempo che se l’accesso alla cucina pulita è cresciuto globalmente, in Africa si è assistito al fenomeno inverso. Da parte sua Adesina ha sottolineato i costi economici e sanitari associati, stimati rispettivamente a 800 miliardi e 1.400 miliardi di dollari all’anno. Il programma Awccsp invita il settore privato a svolgere un ruolo chiave nel programma, favorendo l’apertura di una catena di fornitura commerciale per alternative di cottura pulite, compresi fornelli migliorati e facilitazione dell’accesso all’elettricità nelle zone rurali.

Il ruolo del settore privato

Quello che emerge con forza, nella battaglia per un mondo più pulito e nel reperimento di soluzioni per migliorare le pratiche di cucina e di conseguenza la salute di donne e bambini e la salute del nostro ambiente, è il ruolo importante che il settore privato può avere. Da questo punto di vista, è interessante – per i risultati e per le indicazioni che dà – un progetto finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics) con il bando profit e condotto in Mozambico da Carbonsink. L’azienda nasce come spin-off dell’università di Firenze e nel suo primo decennio di esperienza si è affermato tra i leader in Italia per la consulenza nello sviluppo di strategie climatiche e di progetti che generano crediti di carbonio certificati da standard internazionali. Nel 2018 Carbonsink ha aperto una sede a Maputo in Mozambico e si è quindi aggiudicato uno dei posti del bando profit di Aics.

© Carbonsink

L’idea di business alla base del progetto di Carbonsink è incrementare la diffusione di tecnologie di cottura efficienti nell’area urbana e periurbana di Maputo. Entrando più nello specifico, il progetto mirava a creare una filiera locale di stufe con il coinvolgimento di lavoratori, ad ampliare la rete di vendita, a ridurre le emissioni di gas serra di circa 30.000 tonnellate di CO2 e a ridurre di 5.300 tonnellate l’utilizzo di carbone, evitando in questo modo il taglio di 34.000 tonnellate di legna.

L’ultimo rapporto periodico del progetto indica di fatto il raggiungimento degli obiettivi prefissati con benefici diretti per 12.000 famiglie dei sobborghi più poveri di Maputo, dove la densità di popolazione è molto elevata e le condizioni igieniche sono critiche. In questi quartieri, il 74% della popolazione utilizza stufe a bassa efficienza energetica e ad alto consumo di carbone, la cui combustione provoca infezioni alle vie respiratorie, soprattutto tra donne e bambini, e comporta anche grandi emissioni di gas serra. L’obiettivo principale del progetto è stato quello di migliorare le condizioni di vita delle comunità locali, migliorando le finanze e la salute della popolazione, facendo risparmiare oltre il 60% di carbone e 140 dollari per famiglia all’anno, e contribuendo alla mitigazione del cambiamento climatico attraverso una significativa riduzione della combustione e delle relative emissioni.

Guardandolo dall’alto è una goccia in un mare di lavoro da fare, ma è anche un segnale e un seme che può crescere e contribuire all’imporsi del clean cooking.

Biografia
Gianfranco Belgrano
Nato a Palermo nel 1973, Gianfranco Belgrano è un giornalista e si occupa soprattutto di esteri con una predilezione per l’Africa e il Medio Oriente. È direttore editoriale del mensile Africa e Affari e dell’agenzia di stampa InfoAfrica, per i quali si sposta spesso nel continente africano. Ha studiato Storia e Lingua dei Paesi arabi e vissuto per alcuni anni tra Tunisia, Siria e Inghilterra prima di trasferirsi a Roma. Ha lavorato o collaborato con varie testate (tra cui L’Ora ed EPolis) e si è avvicinato all’Africa con l’agenzia di stampa Misna, lasciata nel 2013 per fondare con alcuni amici e colleghi il gruppo editoriale Internationalia.
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