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Scrittrici, avvocatesse, giornaliste: le ribelli africane lottano per un futuro “alla pari”

In mezzo a pregiudizi e rischi, un esercito di donne coraggiose, a volte da sole o riunite in associazioni, hanno moltiplicato iniziative per l'emancipazione in Africa.

In Africa come per altro in tutte le parti del mondo gli anni si susseguono tutti uguali per molte donne, che ancora devono sopravvivere a pratiche e violenze che vorremmo appartenessero a un’epoca passata. Stupro, violenza fisica e psicologica, matrimoni forzati, combinati o precoci, mutilazioni genitali, negato accesso allo studio. Secondo l’Unicef, nel suo rapporto pubblicato nel 2017, “a meno che i progressi non subiscano una forte accelerazione, ci vorranno oltre 100 anni per porre fine ai matrimoni precoci in Africa occidentale e centrale”, con conseguenze considerevoli e vitali per milioni di spose bambine e un impatto paralizzante sulla prosperità della regione.
La nuova “Report Card” dell’Unicef intitolata “Achieving a future without child marriage: Focus on West and Central Africa” (Raggiungere un futuro senza matrimoni precoci: focus sull’Africa occidentale e centrale), rivela che, come conseguenza della rapida crescita della popolazione e di una crescente diffusione del fenomeno, anche raddoppiando il tasso attuale di riduzione dei matrimoni precoci non sarebbe possibile ridurre il numero assoluto di ragazze che si sposano ogni anno.

Mentre la diffusione dei matrimoni precoci in Africa occidentale e centrale è diminuita nei due decenni passati, i progressi non sono stati uniformi, e ancora quattro donne su dieci si sposano prima dei 18 anni. Un terzo di esse, addirittura prima di compierne 15. Nell’Africa occidentale e centrale si trovano sei dei dieci Stati con la maggiore incidenza di matrimoni precoci nel mondo: Niger, Repubblica Centrafricana, Ciad, Mali, Burkina Faso e Guinea.

I dati sulle violenze in Africa.

I dati dicono che nel mondo il 35% delle donne ha subito violenze e aggressioni sia domestiche che sociali. Secondo Amref, “in Africa le cifre sono più elevate, in Kenya, ad esempio, il 43% delle donne tra i 15 e i 49 anni ha subito una forma di violenza. Nelle zone rurali dell’Etiopia, il 49% delle donne ha subito violenza fisica da parte del partner e le donne che hanno subito abusi sono il 59%. Nelle aree rurali della Tanzania, il 47% delle donne ha subito violenza fisica da parte del partner e il 31% ha subito violenza sessuale. In generale, quasi il 50% delle donne africane ha subito violenza sessuale e di genere in una fase della propria vita”. La violenza di genere è uno dei principali rischi per la salute femminile. Spesso è causa di malattie, disagio psicologico, invalidità permanente e morte. Le donne che subiscono questi abusi, hanno più probabilità delle altre di contrarre infezioni all’apparato riproduttivo, di avere gravidanze indesiderate, sono meno propense ad utilizzare i preservativi o altri anticoncezionali e tendono ad avere una vita sessuale più promiscua. “La violenza e la paura della violenza limitano gravemente il contributo delle donne allo sviluppo sociale ed economico, ostacolando in tal modo il raggiungimento dei Millennium Development Goals e gli obiettivi nazionali e internazionali di sviluppo” prosegue Amref.

Djaïli Amadou Amal, da Twitter

Mutilazioni genitali femminili.

Questa pratica viene svolta ancora in diverse zone del mondo.  “Le mutilazioni sono uno strumento di sottomissione sociale che mina la salute psicofisica delle donne” dichiarano da Amref health Africa. Si stima che le donne che hanno subito mutilazioni genitali nel mondo sono tra i 100 e i 140 milioni. In Africa oltre 91 milioni di donne e ragazze sopra i nove anni convivono con i danni causati da questa pratica e ogni anno, in Africa, tre milioni di donne rischiano di subirla.” Sottolinea l’ong in una nota pubblicata in occasione della Giornata internazionale della donna, che si celebra ogni anno l’8 marzo.

Un esercito in rivolta.

Unico cambiamento è l’emergere in questa situazione di diritti negati di un esercito di donne capaci di denunciare un mondo sempre più patriarcale. Queste “ribelli” si sono poste come scudi, rischiando la vita, per ricordare al mondo, alle istituzioni e alla società il dovere di proteggere le ragazze e madri e di promuovere l’emancipazione di donne. In questa edizione Oltremare dà la parola ad alcune dellefigure più rilevanti della corrente progessista femminile nel continente. Ritratti e idee di guerriereche rievocano un vecchio detto: “ciò che una donna vuole, dio vuole”. Il mondo è pronto ad ascoltarle?

Africa Centrale – Djaïli Amadou Amal, Scrittrice

Djaili Amadou Amal è un’attivista e scrittrice femminista di lingua francese nata nel 1975 a Maroua, nella regione musulmana del Nord del Camerun. Ha ricevuto il premio Goncourt des Lycéens 2020 per il suo romanzo “Les Impatientes”, pubblicato da Emmanuelle Collas. Si tratta del massimo riconoscimento nella letteratura francofona. “Ho usato la mia penna come sfogo per uscire psicologicamente da un ciclo di violenze ed essere abbastanza forte da diventare la voce di tutte queste donne che non hanno voce e sono in grado oggi di portare il mio punto di vista sulla mia società e sulle tradizioni a cui sono ovviamente molto legata. Dobbiamo mettere il dito su tutti questi problemi in modo che possano essere risolti.”, dice ad Oltremare. “I miei romanzi si riferiscono sempre a me, ad esempio, ogni volta che sollevo questi argomenti sul matrimonio precoce. È vero che, come la maggior parte delle ragazze della regione, ho avuto un matrimonio precoce a 17 anni. Costretta a sposare un uomo che aveva 50 anni e ne ho sofferto.” Questo l’ha spinta a realizzare anche azioni concrete. “Dopo i romanzi ho creato un’associazione per l’educazione delle ragazze, a supporto della loro educazione e per fare sensibilizzazione a livello scolastico. Per dire loro quanto è importante avere una laurea.”. Per Amal la lotta per i diritti delle donne è universale. “Quando scrivo penso alle donne in Mali, Italia, America, Cina, Francia, Burkina Faso, Senegal , Camerun, e in tutti i Paesi dove queste vivono nelle stesse condizioni. Musulmane o cristiane. Per me era importante mettere in evidenza questi argomenti. Finché ci sarà un’altra donna sottoposta a matrimonio forzato, finché ci sarà una donna picchiata, uccisa o stuprata, l’argomento non sarà mai obsoleto.”

Hadja Idrissa Bah, da Twitter

Africa dell’Ovest- Hadja Idrissa Bah, Presidentessa del Club delle ragazze leader della Guinea

A soli 20 anni, Hadja Idrissa Bah, che studia attualmente alla Sorbone in Francia grazie ad una borsa di studio dell’Unione Europea, ha già incontrato tutti i grandi della terra. Si è svelata al mondo quando, nel 2017, a soli 17 anni, decise in una Guinea molto tradizionale e musulmana, di guidare una rivolta di ragazze minorenni verso il palazzo del presidente della repubblica, per richiedere una legge che ponesse fine ai matrimoni precoci. La tenacia e il coraggio di fronte a poliziotti mobilitati per bloccarle diventarono virali e la diaspora africana la addotto’ come simbolo. “Ho la stessa età della dichiarazione di Pechino, -dice Hadja ad Oltremare,- e dico alle autorità, avete preso degli impegni, ci sono delle convenzioni che avete ratificato. Al di fuori di Pechino, c’è il Protocollo di Maputo, ma noto che non c’è una reale volontà politica nella loro attuazione nelle leggi nazionali . Ci sono progressi in termini di strumenti, ma queste leggi devono essere applicate rigorosamente allo stesso modo di quelle contro la corruzione, il furto, la rapina, ecc.” Dal 2017 Hadja è dunque diventata la massima figura giovanile africana per i diritti delle donne del continente. L’ex presidente francese Francois Hollande la chiamò “futura presidente della Guinea” perché non teme platea alcuna ed è una oratrice senza concorrente. Emmanuel Macron, attuale inquilino dell’Eliseo, l’ha invitata come relatrice davanti a più di 400 attiviste femministe di tutto il mondo riunitesi il 9 maggio 2020 a Parigi per fornire raccomandazioni ai ministri del G7. Obiettivo di questo terzo vertice internazionale del Movimento Women 7 (W7) è stato sollecitare gli Stati del G7, presieduto l’anno scorso dalla Francia, ad adottare misure che costituiscano un progresso concreto verso l’uguaglianza donna-uomo.
“Combattiamo contro tutta la violenza di genere, compreso il matrimonio infantile. È una lotta molto delicata” Racconta Hadja. Per lei, la speranza sta nel fatto che oggi ragazze e donne hanno intrapreso una sorta di rivoluzione. Ovviamente la lotta deve essere sostenuta per una partecipazione efficace. “Questo era il nostro messaggio al G7: non vogliamo essere strumenti di comunicazione; non partecipiamo all’attuazione di leggi, programmi, politiche. Ma sul campo, le leggi sono le nostre armi, nessuno è al di sopra della legge.”

Nord Africa- Dina Abdel Mooty Darwish, giornalista e attivista egiziana

Dina Abdel Mooty Darwish è una giornalista egiziana premiata nel 2006 con il “Samir Kassir Award” dell’Unione Europea per il suo articolo “Pens Against Biceps”, pubblicato il 10 gennaio 2006 sul settimanale egiziano Al-Ahram Hebdo. Darwish è nata nel 1971 al Cairo. Ha pubblicato oltre 600 articoli sui diritti delle Donne. Nel 2005, è stata premiata per il secondo miglior articolo dalla Women Development Association (Ong egiziana che lavora per l’emancipazione delle donne). ”Penso che il movimento femminista in Egitto abbia fatto molta strada, dice ad Oltremare. Negli ultimi due decenni,dopo un’aspra lotta, la donna egiziana ha ottenuto il diritto di dare la sua nazionalità alla sua prole,nel 2003”. ricorda l’attivista.” Oggi il governo egiziano ha circa cinque ministre donne (prima due al massimo) e questo ha creato uno choc positivo cosi che anche a livelli più bassi, la carriera delle donne ha potuto decollare. ”Con me per la prima volta un giornalista occupa il posto di caporedattore in un settimanale e questo in un’istituzione conservatrice come Al Ahram” dice Darwish..Ma ci sono altre aree in cui il movimento femminista dovrebbe fare grandi sforzi, soprattutto per quanto riguarda lo status personale e la povertà, la cui prima vittima è il sesso debole”. Secondo la cronista “il femminismo in Egitto spesso non è apprezzato, dipende dalla natura dell’attività di ogni ong”.In questo senso, sottolinea Darwish, “gli sforzi internazionali potrebbero essere utili, ma il contesto socio-culturale di ogni paese deve essere sempre preso in considerazione.

Africa – Diaspora, Olivia Bitoe, Avvocatessa (Parigi)

Con il suo dottorato in giurisprudenza, conseguito presso la facoltà Aix-in-Provenza, l’Avvocatessa Olivia Bitoe, classe 86, di origine gabonese, è una delle voci africane di Women in the West. “Il femminismo secondo me – afferma Bitoe -è“incoraggiare e migliorare l’autonomia e l’emancipazione delle donne attraverso l’uguaglianza giuridica. Si tratta di combattere la discriminazione basata sul sesso. SI tratta di una lotta universale Non c’è una vera differenzatra Stati e continenti, altrimenti molti Paesi occidentali non avrebbero più bisogno di ministeri responsabili di tali questioni”.
Secondo l’avvocatessa “siamo in un mondo fallocratico dove le donne combattono ovunque si trovino. Solo che in certi angoli del mondo c’è un’ipocrisia che porta le persone a credere la condizione delle donne sia compresa meglio, quando in realtà non è così”.Bitoe prosegue: ”Quello su cui dobbiamo lavorare sono le mentalità, che nel continente africano aiutano a mantenere le donne in un vincolo di subordinazione. Secondo la legislazione di alcuni stati, il marito è in grado di vietarle di esercitare un’attività professionale se ritiene che ciò leda gravemente gli interessi della famiglia. È ancora considerata un’adulta incapace sotto la tutela del marito.” Rispetto alla situazione dei diritti delle donne in Africa, l’avvocattessa dice che “sono in continua evoluzione. Diversi Stati del continente hanno deciso di riformare le loro leggi nazionali al fine di garantire l’uguaglianza di diritto tra uomini e donne.” L’attivista poi dedica una riflessione al ruolo della comunità internazionale: “Dal mio punto di vista le situazioni devono essere analizzate tenendo conto delle specificità del continente. Non si tratta solo di copiare e importare quello che fanno gli altri e soprattutto in Occidente. Le Nazioni Unite a esempiostanno lavorando duramente in questa direzione, attuando programmi specifici in diversi Paesi in stretta collaborazione con i governi , con agenzie come quella dellaCooperazione italiana allo sviluppo e la società civile.”

 

La scheda
L’impegno dell’Aics per l’uguaglianza di genenre e l’empowerment delle donne africane

Eguaglianza di genere, empowerment e promozione dei diritti delle donne, lotta alla violenza di genere, sicurezza alimentare e sostegno alle donne nei contesti rurali, hanno uno spazio particolare nell’azione della Cooperazione Italiana, sempre più impegnata per l’empowerment delle donne in vari Paesi in via di sviluppo e soprattutto in Africa.
Come anche riconosciuto dalla Peer Review 2019 dell’Ocse Dac, l’Italia ha dimostrato un crescente impegno verso l’uguaglianza di genere, consapevole che per non lasciare indietro nessuno è fondamentale rivolgere lo sguardo soprattutto verso le persone più a rischio e discriminate, come purtroppo spesso accade alle donne fin dalla più tenera età.Intervenire per l’empowerment delle donne non è semplice: richiede una serie di competenze ed impegni che devono diventare il patrimonio di tutti gli attori di sviluppo, oltre che umanitari. Per questo sono state recentemente adottate da parte dell’Aics, il 16 dicembre 2020, le “Linee guida sull’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne, ragazze e bambine (2020-2024)”, le quali includono indicazioni strategiche e operative per tutti gli attori del Sistema della cooperazione italiana. Il carattere innovativo delle linee guida risiede nella definizione di obiettivi ambiziosi e sistemici per il superamento e l’eliminazione delle discriminazioni legate al genere. In particolare, l’Aics si è impegnata a garantire il mainstreaming di genere in ogni iniziativa di cooperazione. Ciò significa che ogni intervento finanziato dovrà contenere un’analisi che evidenzi i bisogni delle donne, ragazze e bambine e valuti gli impatti – anche negativi – che l’azione proposta potrebbe avere su di loro. Contemporaneamente, sarà necessario destinare fondi ad hoc per rispondere a tali necessità e prevedere un ruolo attivo delle donne e delle loro associazioni, per far sì che le donne diventino protagoniste del loro sviluppo, anche e soprattutto le donne più emarginate come le donne con disabilità e le rifugiate e sfollate.L’Africa, si sa, è un’area prioritaria della Cooperazione italiana e le donne africane sono fra le più discriminate, vivendo spesso in situazioni di estrema violenza legate alla povertà, alle situazioni di conflitto o crisi, a tradizioni particolarmente dannose per le donne. Nel corso del 2020, la Cooperazione Italiana ha finanziato numerosi progetti rivolti alle donne africane, nei diversi ambiti d’intervento prioritari dell’Agenzia – quali la lotta alla violenza di genere e i diritti delle donne, la salute riproduttiva e sessuale, l’occupazione femminile, la partecipazione delle donne allo sviluppo rurale, l’istruzione, l’attenzione alle donne coinvolte in crisi umanitarie.

Sono numerosi i Paesi in cui – nel solo 2020 – Aics ha avviato nuovi progetti, come ad esempio il Camerun, l’Egitto, l’Etiopia, il Gambia, la Guinea Conacry, il Kenya, il Mali, il Mozambico, il Niger, la Repubblica Centrafricana, la Somalia.
A livello regionale, la Cooperazione Italiana ha finanziato nel 2020 il “Gender Equality Trust Fund della Banca Africana di Sviluppo” della Banca Africana di sviluppo – AfDB (10 milioni di euro per 5 anni), il quale intende contribuire all’inclusione finanziaria delle donne nel continente Africano, ove oltre il 70% delle donne è esclusa dall’accesso al credito.

Numerosi nuovi interventi umanitari sono stati avviati in collaborazione con le Osc italiane e, talvolta con quelle locali ed internazionali. Nella Repubblica Centrafricana, si interviene per potenziare il sistema sanitario pediatrico e materno-infantile a Bangui e nella Prefettura della Lobaye. In Guinea Conakry, è stato avviato un progetto che prevede specifiche attività di sostegno all’attività imprenditoriale delle donne dell’Alta Guinea, le quali vengono anche sensibilizzate sul rischio della migrazione irregolare, inclusa la tratta, la tortura e la violenza di genere. In Somalia, sono in corso progetti volti a ridurre la malnutrizione delle donne nel distretto di Jowhar, a sostenere le sopravvissute ad abusi sessuali nella periferia rurale di Kisimayo, a migliorare la salute e nutrizione materna, neonatale e infantile nello Stato di Galmudug ed in altre aree de Paese – settore in cui l’Italia collabora anche con le Nazioni Unite (Unfpa).

Non può esserci empowerment senza istruzione. Per questo l’Agenzia avviato nuovi progetti in Niger per contribuire a migliorare i principali indicatori di accesso, di mantenimento e di ammissione all’istruzione primaria, e in Mozambico per promuovere scelte di studi superiori e universitari in discipline tecniche (in particolare informatica) per ragazze delle scuole secondarie.

L’Italia – che è parte della Call to Action sulla violenza di genere nei contesti di emergenza fin dal suo avvio nel 2013 – è infine in prima linea per combattere la violenza sessuale e di genere. Progetti nel settore sono attivi ad esempio in Camerun (dove nell’estremo nord si interviene per proteggere i bambini e le bambine vittime di violenza, inclusa quella sessuale e di genere), in Kenya (dove insieme alle Nazioni Unite (UN Women) è stato avviato un percorso per garantire l’l’accesso alla giustizia per le sopravvissute alla violenza di genere e rafforzare i meccanismi preventivi e di risposta) e in Mali (dove si agisce per il rafforzamento del sistema di protezione dei minori e di prevenzione della violenza di genere). Inoltre, l’Italia ha finanziato per la prima volta l“Appello Speciale per la risposta alla violenza sessuale nei conflitti armati e altre situazioni di violenza e detenzione” del Comitato Internazionale della Croce Rossa, che si rivolge in particolare alle sopravvissute alla violenza sessuale nei confitti armati in svariati Paesi – fra cui numerosi africani come il Mali, la Repubblica Democratica del Congo, il Burundi, l’Etiopia, la Repubblica Centrafricana, la Nigeria ed il Sud Sudan.

Infine, nel 2020 l’Italia ha sostenuto le attività centrali delle Agenzie delle Nazioni Unite impegnate nella lotta alla violenza e discriminazione di genere, come UnWomen, Unfpa e Unicef e ha sostenuto il progrmma congiunto di queste ultime due sulle mutilazioni dei genitali femminili.

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