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Adozioni internazionali e ruolo della cooperazione, una ricchezza per l’intera società

Intervista a Vincenzo Starita, vicepresidente della Commissione per le adozioni internazionali: l’unico diritto che conta è quello del minore, con la Cooperazione un’azione congiunta per individuare le aree in cui operare.

I diritti dei minori, la loro protezione, vengono prima di ogni altra considerazione quando si parla di adozioni internazionali. Questa è la regola più importante che non deve mai essere dimenticata, sottolinea Vincenzo Starita, dal 2020 vice presidente della Commissione per le adozioni internazionali (Cai).
In magistratura dal 1995, fino al 2016 in servizio presso il Tribunale per i Minorenni di Salerno e successivamente direttore generale del personale delle risorse e per l’attuazione dei provvedimenti del giudice minorile al Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità (Dgcm), nell’ultimo anno Starita ha avuto modo di lavorare più da vicino alla cooperazione allo sviluppo che, sottolinea in questa intervista a Oltremare, è uno degli aspetti fondamentali dell’azione del Cai.

Vicepresidente, con Aics state lavorando per la firma di un protocollo di collaborazione e avete contribuito alla elaborazione delle nuove linee guida sull’infanzia e l’adolescenza. In che termini è avvenuta questa collaborazione e qual è lo spirito di fondo?

“A parte un generico dovere di collaborazione istituzionale a cui nessuna amministrazione pubblica può sottrarsi, occorre sottolineare che nel settore specifico della cooperazione in materia di promozione e tutela dei diritti dell’infanzia la Commissione ha uno dei suoi compiti peculiari. L’azione della Cai è finalizzata non solo a governare il sistema delle adozioni internazionali ma anche ad assicurare, nel rispetto del principio di sussidiarietà, che vengano realizzati, con la supervisione e il coinvolgimento degli Enti autorizzati, progetti di cooperazione. Va da sé che quando si agisce nel mondo della cooperazione non si può non pensare ad elaborare strategie di collaborazione con l’Aics. In proposito sono lieto di comunicare che la Commissione si è espressa favorevolmente, lo scorso primo giugno, alla stipula di un protocollo che conterrà, tra l’altro, le modalità concrete con cui si realizzerà nei prossimi anni una cooperazione più intensa tra le nostre due istituzioni”.

Vincenzo Starita

Proprio di recente, a distanza di dieci anni, avete pubblicato un nuovo bando per far ripartire i progetti di cooperazione internazionale gestiti dalla Commissione.

“Esatto, nella formulazione di questo bando, fortemente voluto dalla ministra per le Pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, ci siamo avvalsi anche del contributo esperienziale dell’Aics. In esso, è stato previsto per lo scorso anno lo stanziamento di una somma di quattro milioni e mezzo di euro per la realizzazione di otto progetti riguardanti aree dove l’esigenza di intervenire a protezione dei minori è molto forte, parliamo del continente africano ma anche del Sudamerica e del Sudest asiatico. In particolare, nella commissione valutativa ci siamo avvalsi della presenza di due commissari provenienti dal Maeci e dall’Aics, vale a dire Giovanni Baticci e Valeria Boninfante. A loro va il mio più sentito ringraziamento anche per la disponibilità data in occasione di un recente incontro avutosi con gli Enti che hanno partecipato al bando nel corso del quale abbiamo ragionato in merito ai punti di forza e soprattutto alle criticità dei progetti presentati.
Durante l’esame dei progetti è nata l’idea di stipulare il protocollo che tornerà particolarmente utile nell’immediato futuro perché consentirà alla Commissione di ottenere dall’Aics informazioni esaustive e aggiornate sulla situazione dell’infanzia, orientando la scelta dei Paesi ove è più urgente la realizzazione dei progetti di cooperazione”.

Una collaborazione quindi già pronta a diventare più solida.

“Nel 2021 verranno stanziati intorno ai 10 milioni di euro, un importo ben più corposo rispetto allo scorso anno. La collaborazione con l’Aics sarà fondamentale e consentirà alla Cai di acquisire le best practice di cui l’Agenzia è portatrice nei Paesi in cui opera. Un altro aspetto molto interessante che voglio sottolineare è che questo protocollo prevede anche la possibilità che la Cai e l’Aics svolgano anche congiuntamente progetti di cooperazione a tutela e protezione dei diritti dell’infanzia attraverso stanziamenti sia da parte dell’Unione europea sia da parte di altri enti”.

Con Aics avete già collaborato per la stesura delle nuove linee sull’infanzia e l’adolescenza.

“Abbiamo accolto con entusiasmo questa collaborazione che ha interessato non soltanto la Cai ma anche altri enti istituzionali e associazioni importanti che operano a livello mondiale, incluso il dipartimento della Giustizia minorile, dove io stesso ho lavorato fino ad ottobre dello scorso anno come direttore generale. Quindi la genesi di queste linee guida mi ha visto collaborare, per una fase come direttore generale del dipartimento della Giustizia Minorile (Dgcm) e, nella fase ultimativa della redazione delle bozze, anche come vicepresidente della Commissione adozioni internazionali. Nel corso di questo lavoro abbiamo suggerito la metodologia poi seguita nella redazione delle linee guida. Si tratta di una metodologia operativa che segue sostanzialmente le indicazioni contenute nella Convenzione del 1989 delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Il criterio ispiratore delle linee guida si fonda, infatti, su una concezione olistica e proattiva dei diritti dell’infanzia. È importante tener presente che quando si parla di diritti dei minori non si parla più, da tempo per fortuna, di soggetti passivi bisognosi di tutela in quanto vulnerabili: le linee guida sono ispirate dal criterio dei diritti dei minori come diritti soggettivi perfetti in cui gli stessi manifestano la loro personalità. Occorre, quindi, in primis garantire la comprensione di tali diritti, solo una volta compresi si potrà avere una partecipazione attiva nel loro esercizio. La visione paternalistica per cui il minore ha sì dei diritti ma chi glieli tutela è l’adulto che lo aiuta e lo assiste, è una visione ormai superata. L’idea di fondo che invece ha ispirato le linee guida è che bisogna accompagnare i minori, in qualsivoglia parte del mondo, ad essere consapevoli dei loro diritti”.

Se le chiedessi di indicare un pregio fondamentale di queste nuove linee guida cosa direbbe?

“Il fatto che le stesse sono strutturate avendo particolare cura agli aspetti pratici con cui realizzare gli interventi e non solo ad analizzare i singoli diritti. Nelle linee ci si chiede che cosa si può fare attraverso la cooperazione perché ci siano delle azioni concrete che tutelino questi diritti. Come Cai ci siamo occupati soprattutto del settore relativo alla giustizia minorile. Il nostro apporto è stato significativo, assieme al Dgcm, per chiarire innanzitutto che cosa si intende oggi per giustizia minorile, poiché su questo aspetto non c’è una uniformità di vedute a livello internazionale. Molti Paesi quando si parla di giustizia minorile intendono esclusivamente la giustizia che interessa i minori coinvolti nel settore penale, quindi la partecipazione del minore al procedimento penale e la tutela dei suoi diritti come minore imputato o minore persona offesa. In altri Paesi come il nostro si è raggiunta la concezione, anche questa olistica, della giustizia minorile intesa come giustizia che con una metodologia sua propria tutela i diritti del minore nell’ambito non soltanto del procedimento penale ma anche di tutti i procedimenti civili e, latu sensu, amministrativi in cui in qualche modo egli è coinvolto. Quando poi vi è un conflitto tra i diritti di cui è portatore il minore e i diritti di altri soggetti, in primis i genitori, diventa essenziale che il minore sia parte in questi procedimenti e agisca processualmente attraverso un curatore speciale che, a sua volta, nomina un avvocato a cui affidare la difesa.
E ancora, un aspetto molto importante della giustizia minorile – ed è fondamentale che questo principio si affermi sempre di più anche all’estero – è che la giustizia minorile sia una giustizia mite, espressione coniata da un grande giurista, Gustavo Zagrebelsky, che rappresenta un modo innovativo di intendere la giustizia. La mitezza della giustizia minorile non è intesa nel senso di una giustizia benevola verso i soggetti coinvolti ma di una giustizia che mira sempre alla comprensione ed alla tendenziale condivisione dei provvedimenti adottati in attuazione del miglior interesse possibile del minore”.

Guardando in prospettiva, secondo lei il futuro delle adozioni internazionali quale sarà?

“In tutte le Convenzioni Internazionali, a partire dall’articolo 21 della Convenzione del 1989 poi ribadito dalla Convenzione dell’Aja del 1993, si afferma il principio secondo cui le adozioni internazionali si possono realizzare solo in quei Paesi in cui viene assolutamente garantito e tutelato il principio di sussidiarietà. Pensare di favorire l’istituto dell’adozione a danno dell’attuazione del principio di sussidiarietà significherebbe ledere il diritto fondamentale del minore di vivere all’interno di una famiglia, possibilmente senza doversi allontanare dal suo Paese di origine. In altre parole, lo sforzo che viene fatto attraverso i progetti di cooperazione in cui gli Enti autorizzati sono protagonisti, è quello di favorire e promuovere gli istituti che assicurino il diritto appena enunciato. Questo deve essere l’obiettivo primario da perseguire”.

Quando si arriva quindi alle adozioni internazionali?

“Laddove questo primo obiettivo non venga perseguito, l’adozione internazionale diventa uno strumento di tutela perché se il minore non può vivere in una famiglia nel Paese d’origine ha comunque diritto a vivere all’interno di una famiglia, anche al di fuori del Paese di origine. Quello che sta avvenendo a livello internazionale è estremamente preoccupante perché ci sono alcuni Paesi che cercano di superare l’adozione internazionale interpretando in maniera non corretta il principio di sussistenza; cioè alcuni Paesi estromettono minori dal circuito dell’adozione internazionale solo perché vengono inseriti in case famiglia, ritenendo, quindi, che queste ultime possano efficientemente sopperire all’assenza di una famiglia vera e propria. Questo concetto, estremamente pericoloso, si sta affermando in alcuni Paesi ed è legato a un nazionalismo sempre più imperante che coinvolge anche il mondo delle adozioni. Stiamo vivendo un momento in cui si fa di tutto per evitare l’adozione internazionale oppure la si realizza ma soltanto per quei bambini che sono portatori di special needs, cioè quei bambini che sono portatori di handicap particolari o che sono grandicelli di età oppure si tratta di più fratelli da dare in adozione: questi bambini, poiché non riescono ad entrare nel circuito dell’adozione nazionale, automaticamente vengono inseriti nel circuito dell’adozione internazionale. Qui è importante la cooperazione internazionale: noi dobbiamo lavorare per far comprendere che lo sforzo per garantire il diritto di vivere nella famiglia all’interno del proprio Paese d’origine deve essere uguale per tutti i bambini. Non si può creare un circuito privilegiato per i bambini “tra virgolette” sani o non portatori di special needs e riservare invece all’adozione internazionale soltanto i bambini che rientrano in quest’ultima categoria. Questo significa non tutelare e non considerare parimenti rilevanti i diritti di questi bambini”.

Calando questa situazione al contesto italiano, quale realtà emerge?

“Benché a volte, soprattutto all’estero, si guardi alle coppie italiane aspiranti all’adozione evidenziandone aspetti negativi, quali l’età media avanzata e il ricorso da parte loro all’adozione solo come extrema ratio, cioè dopo aver provato tutte le soluzioni alternative per realizzare il desiderio di genitorialità, mi preme mettere in risalto che l’Italia è il Paese che al mondo adotta più bambini portatori di special needs. Questo è un merito e un vanto, perché le coppie affrontano dei sacrifici enormi, spese significative, percorsi difficili. Non dimentichiamo mai che il concetto che è alla base delle adozioni internazionali è un concetto solidaristico e tutto ciò che viene fatto è fatto per adottare un bambino in stato di necessità e di bisogno particolare. Credo che tutto questo vada adeguatamente valorizzato. La cultura dell’adozione in Italia è una cultura che ha affrontato e sta affrontando sicuramente un periodo di profonda crisi, però è una cultura che ha ancora delle basi molto forti, per cui sono convinto che il nostro Paese continuerà ad essere un faro ed un esempio per gli altri”.

Rispetto a questo concetto di tutela dell’infanzia quale può essere il ruolo della cooperazione?

“Credo che il ruolo della cooperazione, anche in questo caso rispetto alla protezione dei diritti dell’infanzia, sia un ruolo che risulta chiaramente nelle convenzioni internazionali. L’articolo 4 della Convenzione del 1989 afferma che i diritti sociali, economici, culturali dei minori devono essere garantiti dai Paesi di origine nei limiti delle loro possibilità ed esistono indubbiamente difficoltà di carattere finanziario che fanno sì che molti Paesi non siano oggi in grado di garantire questi diritti. Pur tuttavia lo stesso articolo afferma chiaramente che questi Paesi possono essere aiutati ad attuarli attraverso la cooperazione internazionale. Quest’ultima deve avere, in questa fase, la capacità di individuare quali Paesi hanno un bisogno prioritario di interventi a sostegno della loro crescita. Ritengo che questo sia un aspetto molto importante ed è significativo, come ho già detto, che nelle linee guida siano individuate in maniera analitica le azioni che possono essere intraprese. È utopistico pensare che nel giro di pochi anni i diritti dell’infanzia calpestata possano essere garantiti dappertutto, però è possibile ritenere che attraverso uno sforzo congiunto, attraverso lo sforzo forte della cooperazione, si riesca ad individuare quali sono i Paesi dove è primaria un’esigenza di intervento”.

A suo parere, le adozioni internazionali, e quindi tutto quello che vi ruota attorno, possono essere anche una ricchezza collettiva per la società italiana? Possono essere un ponte di collegamento tra l’Italia e i Paesi d’origine?

“Ho sempre sottolineato l’importanza che nel percorso di formazione per l’adozione internazionale vada favorita la comprensione da parte delle coppie che adottando un bambino straniero le stesse stanno, in qualche modo “adottando” anche il Paese di provenienza. Intendo dire che quando un bambino entra in una famiglia e quindi in senso più ampio nella scuola, nella comunità, quel bambino è portatore della sua cultura e quel modo di pensare, quel modo di essere, non deve mai essere snaturato. La diversità è ricchezza. Quindi i bambini che entrano nel nostro Paese devono essere accompagnati ad assimilare la nostra cultura ma senza mai perdere le loro origini. La formazione che oggi viene data alle coppie è mirata al rispetto delle origini del minore. Su questo aspetto la Cai sta facendo uno sforzo molto significativo e in più direzioni, realizzando percorsi di formazione per tutti gli operatori del settore con l’Istituto degli Innocenti di Firenze.
Il nostro impegno prevede il coinvolgimento anche del ministero dell’Istruzione, con cui a breve spero porteremo a termine uno specifico protocollo. Ritengo che tra i doveri istituzionali della Commissione vi sia quello della promozione della cultura dell’adozione: ecco perché ritengo sia essenziale intervenire in maniera massiva all’interno delle scuole con lo scopo di favorire l’accoglienza. I ragazzi molto spesso arrivano in Italia già a una certa età, quindi hanno una personalità formata ed è necessario che all’interno della scuola trovino un ambiente complessivamente preparato: gli insegnanti e, persino, i compagni di classe devono essere quindi tutti adeguatamente informati sul significato dell’adozione e sull’importanza che si realizzi attraverso l’adozione uno scambio interculturale. Ho il sogno che ogni scuola, ogni istituto, possa avere un referente, cioè un docente che si occupi in maniera specifica delle problematiche legate all’adozione sia nazionale che internazionale. L’adozione è ricchezza, come lo sono i fenomeni migratori, perché lo scambio delle culture da sempre è stato l’elemento propulsivo che ha fecondato le popolazioni facendole progredire”.

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