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Africa Blues, il Mozambico e i cambiamenti climatici in mostra all’Orto botanico di Roma

Fino al 2 aprile saranno esposte le foto di Giulia Piermartiri e Edoardo Delilli, in collaborazione con WeWorld, per sensibilizzare sul climate change presente e futuro

Un uomo di 40 anni in Mozambico ha già affrontato 25 alluvioni, 14 cicloni tropicali, 23 epidemie e un grave terremoto. Ma se il presente è precario, i possibili effetti dei cambiamenti climatici su questo Paese dell’Africa orientale nei prossimi decenni rendono il futuro ancora più spaventoso.

Lo mettono ora in mostra le immagini scattate da Giulia Piermartiri e Edoardo Delilli, in collaborazione con l’organizzazione delle società civile WeWorld, e visibili fino al 2 aprile a Roma, presso la serra espositiva dell’Orto botanico dell’Università La Sapienza. Le fotografie che compongono “Africa Blues, Mozambico nel 2100: proiezioni della crisi climatica sui volti di chi la vive ogni giorno”, raccontano grazie a una sovrapposizione tra la realtà e un futuro sempre più vicino, i pericoli che incombono su 32 milioni di mozambicani. In queste foto, scattate tra la provincia di Maputo e l’isola di Inhaca, scene di vita quotidiana si mescolano a diapositive che mostrano quegli stessi luoghi drasticamente modificati dalla crisi climatica.

Leonel Maló, guardiano della Stazione di Biologia Marittima dell’isola di Inhaca, Dipartimento di Ricerca della Facoltà di Scienze dell’Università Eduardo Mondiane di Maputo. (Inhaca)

“Foto che mostrano i peggiori effetti della crisi climatica sul paese africano – come la desertificazione, la risalita del cuneo salino, l’erosione costiera, i frequenti incendi, la perdita di vegetazione, raccolti e biodiversità – sono state proiettate sui volti e sulle case degli abitanti nella provincia di Maputo”, spiega il giornalista Ferdinando Cotugno nell’introduzione alla mostra. “Il risultato non è frutto di una elaborazione digitale o di una doppia esposizione, ma è il resoconto di una proiezione live che ci mostra come dobbiamo aggiornare i tempi verbali con i quali parliamo di emergenza climatica: al futuro dobbiamo affiancare il presente”.

L’esposizione, che ha l’obiettivo di sensibilizzare sul climate change, fa parte di un lavoro più corale dal titolo “Atlas of the New World” che i due fotografi portano avanti da anni, immaginando le possibili trasformazioni di Maldive, Monte Bianco e California del Nord. La scelta è ricaduta proprio sul Mozambico perché è al terzo posto nella classifica dei Paesi africani per calamità ambientali.

Belita Nhaca, 11 anni, e sua madre Lidia Milando, davanti alla casa dei nonni e dei genitori. (Inhaca)

Pur contribuendo solo al 5% delle emissioni inquinanti, l’Africa è il continente che paga il prezzo più alto del cambiamento climatico in atto. Solo nel 2019, alluvioni, siccità e carestie hanno generato 2,5 milioni di profughi. Il Mozambico, in particolare, soprattutto lungo la sua costa di quasi 2.500 chilometri, è uno dei Paesi più vulnerabili dal punto di vista climatico. Siccità, alluvioni e tempeste improvvise sono episodi che ormai si alternano e si ripetono ogni anno, colpendo e distruggendo interi villaggi e compromettendo il raccolto agricolo. Sono soprattutto le comunità più povere e vulnerabili, che vivono dell’agricoltura, a pagarne il prezzo più alto.

Judass Mungo, responsabile presso il corpo dei pompieri di Maputo. (Maputo)

WeWorld lavora nel Paese da oltre 20 anni, con progetti sia di sviluppo sia legati all’emergenza anche grazie al sostegno dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics). In particolare, a partire dal 2019, l’organizzazione si è attivata per far fronte alle emergenze causate dai cicloni Idai e Kenneth con interventi raccontati anche su Oltremare. Che il Mozambico sia una terra estremamente fragile ce lo ha ricordato di recente anche il ciclone Freddy che a marzo ha colpito il Paese provocando ingenti danni e circa 160 morti.

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