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Marco Tarquinio

Tarquinio (Avvenire): “Così raccontiamo il mondo lontano dai riflettori”

Continua l’appuntamento con i direttori di testate giornalistiche italiane per parlare dell’informazione dedicata al Sud del mondo. Dopo Maurizio Molinari abbiamo incontrato Marco Tarquinio, direttore di Avvenire

Conflitti, migrazioni, povertà, cambiamenti climatici: i temi più urgenti della attualità internazionale trovano in Avvenire un racconto puntale e ricco di approfondimenti dal terreno. Tarquinio spiega la sua visione per un nuovo “continente verticale” che metta insieme Europa, Africa e Vicino Oriente, sul quale investire e costruire una nuova narrazione collettiva.

Avvenire nasce con una vocazione che a me piace chiamare glocal, cioè fortemente radicata nella realtà italiana, ma con un orizzonte globale universale. Da più di 54 anni ormai abbiamo pagine di informazione internazionale molto curate e molto attente. Soprattutto, quello che si è accentuato anche negli ultimi anni, ci interessa quella parte di mondo che non ha mai i riflettori puntati addosso. C’è stata una progressiva deriva dell’informazione italiana che è stata per molto tempo un’informazione di grande qualità anche sul fronte di quello che oggi chiamiamo il Sud del mondo. Ultimamente ci si è concentrati molto sulle parti emerse del Nord, dei Paesi in via di sviluppo già sviluppati, “emersi” insomma, le nuove tigri oltre alle potenze egemoni degli “Occidenti” al plurale, come piace dire a me.

A un certo punto però il mondo “ci viene in casa”, viene a bussare alla nostra porta, ce lo ritroviamo davanti e non ne riconosciamo i tratti, non sappiamo neanche riconoscere le vittime delle guerre e delle persecuzioni perché non le vediamo più, non vengono raccontate come si deve. Per cui paradossalmente in questi anni ci ha motivato molto anche questa condizione straniante per cui noi, che siamo sempre stati un Paese di grande solidarietà, nel momento in cui coloro che sostenevamo lontano arrivavano, in fuga da quelle situazioni, alle porte dell’Italia, grazie a un discorso pubblico che ha fatto deragliare il senso tutto, abbiamo consegnato lo sguardo a una prospettiva odiosa e addirittura odiante: non li riconosciamo più come vittime, ma come invasori.

È chiaro che c’è un cortocircuito informativo e l’unico modo per batterlo è raccontare in maniera diversa le cose, facendo capire che ci sono migrazioni che sono frutto di persecuzioni politiche, religiose, di condizioni di ingiustizia economica, di cambiamenti climatici, che diventerà sempre più imponente nei prossimi anni. Dobbiamo far capire le proporzioni esatte dei fenomeni: per esempio che l’85% dei profughi resta sempre vicino alla terra di origine, mentre il restante 15% che segue la rotta occidentale, realizza un progetto che non è solo individuale, ma ha una dimensione collettiva che vede l’investimento delle comunità che puntano sui giovani migliori, i più forti e determinati. E allora la nostra interfaccia sono i volontari, i missionari, quelli che lavorano insieme a queste popolazioni.

Si parla spesso di emergenze, meno invece della vitalità delle società africane o delle prospettive di sviluppo di Paesi molto giovani, destinati a crescere dal punto di vista demografico ed economico a un ritmo molto più rapido di quello occidentale.

L’Africa è il continente oggi più giovane sulla faccia della Terra. Io sono fra quelli che auspicano e lavorano perché cresca la consapevolezza delle prospettive di sviluppo e benessere collettivo che nasceranno se sapremo realizzare un continente verticale che metta insieme Europa, Africa e Vicino Oriente, in una prospettiva in cui la parte più anziana ed evoluta dal punto di vista dei diritti sociali e civili e anche dal punto di vista tecnologico e del sapere condiviso, riesce a creare una sinergia virtuosa con questo continente in rapida crescita, fra l’altro ricchissimo di materie prime.

Con il nostro giornale andiamo a raccontare la realtà africana, latino-americana, asiatica. Lì incontriamo sul campo gli operatori umanitari delle Osc e creiamo con loro un forte rapporto di interazione con uno scambio di informazioni che poi porta a seguire anche l’evolversi nel tempo dei progetti di cui scriviamo.

In questi ultimi anni il Sistema di cooperazione è cambiato: come è cambiato nel tempo il suo quotidiano, c’è qualche novità da segnalare?

Credo molto nelle nuove modalità anche multimediali. Attraverso i podcast stiamo cercando di mantenere il nostro sito on line il più possibile aperto, senza paywall. Nei prossimi mesi potremo scegliere la strada del contributo volontario per sostenere il tipo di informazione che facciamo perché è bene che queste informazioni circolino e diventino parte della consapevolezza comune delle persone di ciò che l’Italia sta facendo e può fare.

Fra il 12 febbraio e fino all’8 marzo faremo poi una campagna molto approfondita sull’Afghanistan, focalizzata sulla condizione delle donne. Le giornaliste del mio giornale si sono mobilitate su questo tema con contributi autonomi. Avremo anche firme maschili però mi piace molto questa idea partita dalle colleghe di una mobilitazione di giornaliste italiane per donne afgane, Anni fa, attraverso un progetto della Cooperazione italiana, abbiamo avuto alcune colleghe afgane in redazione per fare uno stage di lungo periodo. Hanno realizzato una rubrica sulle pagine digitali on line sul nostro sito web. È stata un’esperienza importante, che ha creato legami forti e questa è una delle iniziative che intendo sviluppare prossimamente. Molto è stato fatto dalla Cooperazione italiana nei vent’anni di presenza nel Paese per ricostruire il sistema giuridico, educativo e di tutela dei diritti delle donne. Si tratta di un tema che ultimamente è stato un po’ derubricato dalla stampa italiana, ma che è ancora di grande attualità e sul quale lavoreremo in futuro.

 

Biografia
Marco Tarquinio
È direttore responsabile di Avvenire dal 1994. Nato ad Assisi, vive tra Milano e Roma. Esperto di politica interna e internazionale, è cronista a La Voce, tra il 1981 e il 1984. Nel 1983 collabora col Corriere dell’Umbria, quotidiano dove diventa giornalista professionista. Nel 1988 si trasferisce a Roma, a La Gazzetta, come capo del servizio politico. Nel 1990 è a Il Tempo, dove si occupa di politica estera e di cronache politico-parlamentari per diventare capo della redazione politica ed editorialista. Nel 1994 arriva ad Avvenire. Nel quotidiano nazionale di ispirazione cattolica è stato a lungo editorialista politico, poi caporedattore della redazione centrale milanese e romana. Nel 2007 diventa vicedirettore e nel 2009 direttore. Il 13 dicembre 2011 è nominato da Benedetto XVI consultore del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, incarico mantenuto fino al 2016, anno della cessazione dell’attività del dicastero della Santa Sede.
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