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Il Forum globale contro la povertà? Facciamolo nello slum

Rovesciare il paradigma Davos. Partendo dal basso per arrivare in alto. E coinvolgendo i leader comunitari, dall’India al Brasile. È l’idea di Kennedy Odede. Che ci dà appuntamento a Kibera

Dimenticate elicotteri e hotel a cinque stelle. Il World Poverty Forum, primo appuntamento della Decade of Action immaginata dalle Nazioni Unite per contrastare la povertà, sarà tutta un’altra cosa. Parola di Kennedy Odede, attivista keniano cresciuto nello slum di Kibera. Che della sua idea ha parlato poche settimane fa a New York, al Palazzo di Vetro, di fronte all’Assemblea generale dell’Onu. “Bisogna cambiare la dinamica, fare incontrare mondi” la premessa di Odede, fondatore dell’organizzazione no profit Shining Hope for Communities (Shofco). “E’ ora che i politici vengano da noi, dalla gente e dalle comunità che stanno portando avanti un grande lavoro sul campo”. L’idea è rovesciare il paradigma Davos (al punto che il nuovo Forum è stato ribattezzato “Davos dei poveri”). “Incontri di quel tipo vanno bene, è giusto far incontrare i leader mondiali” riprende l’attivista. “Il problema è che poi non c’è interazione con i poveri e con chi lavora nelle comunità”.

 

Il Forum dovrebbe colmare il gap. Almeno questa è la promessa, scritta nero su bianco nel programma dei lavori fatto circolare al Palazzo di Vetro. Due giorni a Kibera, il più esteso e popoloso slum di Nairobi, la capitale del Kenya. Gli incontri si terranno a gennaio, in una scuola tra baracche con tetti di lamiera inaugurata dagli attivisti di Shofco per dare, alle ragazze dello slum, la possibilità di un’istruzione gratuita. Per l’organizzazione e la logistica sarà assunto solo personale locale, si tratti di fotografi, videomaker o ristoratori. Ma a cambiare sarà soprattutto l’elenco dei partecipanti, sottolinea Odede: “Avremo una suddivisione al 50/50 tra leader influenti a livello globale e leader comunitari, provenienti da Kibera, dall’Africa, dall’India o dal Brasile, tutta gente che è stata lasciata fuori dal dibattito troppo a lungo”.

Che sia necessaria una scossa lo confermano le statistiche delle Nazioni Unite. Circa il 10% della popolazione globale, oltre 700 milioni di persone, continua a vivere in povertà estrema, con un reddito inferiore a 1,90 dollari al giorno. Se in alcune regioni del mondo sono stati ottenuti progressi, in buona parte dell’area sub sahariana, gli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’Onu sono sempre più a rischio. In particolare si prevede che tra oggi e il 2030 ben 13 Paesi dell’Africa saranno colpiti da un aumento del numero delle persone che vivono in condizioni di miseria assoluta.

 

 

Le criticità riguardano più ambiti. A pesare non sono solo redditi inadeguati ma anche standard di vita non all’altezza, segnati dalla mancanza di accesso all’assistenza sanitaria e all’istruzione. Nel complesso, nel mondo, questa “povertà multidimensionale” colpirebbe un miliardo e 300 milioni di persone.

A Kibera si cercheranno percorsi nuovi. Spunti arriveranno da seminari immaginati per mostrare “soluzioni semplici alle difficoltà quotidiane” o da visite nello slum ai progetti di maggior successo. Gli eroi della lotta alla povertà, si tratti di ong, startupper, imprenditori o anche multinazionali, concorreranno poi per i Kibera Awards. Il tentativo, anche qui, sarà coinvolgere chi finora è rimasto ai margini. “Dobbiamo includere chi sta sulla linea del fronte” sottolinea Odede. “Finora sono stati esclusi dalle decisioni che li riguardavano. Perché? Perché l’approccio è stato dall’alto verso il basso. Adesso bisogna rovesciare la prospettiva, cominciando dal basso per arrivare in alto: le disuguaglianze stanno crescendo troppo”. Che cambiare sia possibile lo suggerisce la biografia di Odede. A Kibera arriva a due anni, in fuga, insieme con la madre, dalla carestia che aveva colpito il suo villaggio. A leggere impara su vecchi giornali raccattati in strada, mentre in fabbrica lo pagano un dollaro ogni dieci ore di lavoro. Nello slum, dove vive per 23 anni, compra un pallone da calcio e fonda Shofco. Poi vince una borsa di studio presso la Wesleyan University, un ateneo americano. Il suo libro Find Me Unafraid, pubblicato nel 2009, diventa un best-seller segnalato dal New York Times. È il racconto di come, insieme con la moglie Jessica Posner, fonda la prima scuola gratuita per le ragazze di Kibera. A gennaio ci si ritroverà proprio lì.

 

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