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Africa: un turismo di pari opportunità, sviluppo e responsabilità

Il turismo è tra i primi generatori di lavoro e una voce importante dell’economia globale. Anche in Africa, dove potenzialità e sfide sono enormi

Turismo e Obiettivi di Sviluppo Sostenibile possono sembrare due realtà distanti, eppure i legami tra loro sono molto più stretti e carichi di promesse di quanto non appaia al primo sguardo. Il turismo in sé non è uno dei 17 Sustainable Development Goals (SDGs) fissati dalle Nazioni Unite ma, come sottolineato dalla World Tourism Organization (Unwto), e in particolare dal suo segretario generale Zurab Pololikashvili, è un comparto che gioca un ruolo vitale in molti, se non in tutti, i 17 obiettivi. “Il turismo – ha detto lo stesso Pololikashvili presentando lo scorso anno la piattaforma Tourism4SDGs.org – è cresciuto come attività economica trasversale con profonde ramificazioni sociali e la piattaforma Tourism for SDGs offre alla comunità turistica globale uno spazio per co-creare e impegnarsi per realizzare l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”.

Secondo la Unwto, la rilevanza economica del turismo, che rappresenta il 10% del pil globale e del mercato del lavoro, rende il suo pieno sfruttamento essenziale per il progresso degli SDGs. Un concetto a maggior ragione applicabile all’Africa, dove il turismo pare avere tutte le carte in regola per diventare un fattore decisivo nelle economie locali perché in grado di creare nuovi posti di lavoro, attrarre investimenti e stimolare lo sviluppo di infrastrutture e servizi che favoriscono una maggiore inclusività nella crescita.
Nel corso del 2019, gli arrivi internazionali nel continente africano supereranno la soglia degli 80 milioni, raggiungendo un totale di 81,3 milioni di visitatori, secondo i dati forniti dal Consiglio mondiale dei viaggi e del turismo (World Travel & Tourism Council, Wttc). Si tratta di una previsione che, se confermata, rappresenterebbe un incremento percentuale dei viaggiatori pari a quasi il 20% rispetto ai 64 milioni registrati nel 2018. A prescindere dall’effettivo incremento, sono chiare comunque le aspettative degli operatori del settore e le potenzialità dell’industria del turismo esistenti in Africa. Un’industria che ha margini di crescita immensi, se si pensa che oggi il continente pesa per meno del 5% sul totale del traffico turistico mondiale con un numero di presenze pari in un anno a quello di un solo Paese come la Spagna.
In base ai dati dell’Organizzazione mondiale del turismo (Omt), nel 2018 l’apporto diretto di questo comparto alla formazione del prodotto interno lordo continentale è stato pari a poco meno di 91 miliardi di dollari: un valore in aumento del 23% rispetto ai 73 miliardi di dollari registrati l’anno precedente e che è equivalente a un tasso di crescita sei volte maggiore rispetto a quello registrato dalle economie dell’Africa nel loro complesso.

 

L’impatto del turismo sull’economia continentale non si limita però solo al contributo dei pagamenti effettuati dai viaggiatori, ma va esteso anche ai suoi effetti indiretti e indotti. È necessario cioè prendere in considerazione anche le ricadute che la spesa sostenuta per gli investimenti nel comparto turistico genera su altri settori produttivi. Si possono così citare a titolo di esempio i fondi per la rete logistica o la costruzione di nuovi alberghi, l’acquisto di arredi delle strutture ricettive, le forniture di materie prime e servizi nonché i ricavi generati dalle spese delle persone direttamente o indirettamente occupate nel settore. Sulla base di questa interpretazione più ampia, il Wttc ha perciò valutato che nel 2018 il settore ha generato in Africa ricavi per un valore complessivo pari a 194 miliardi di dollari, equivalenti all’8,5% dell’intero prodotto interno lordo continentale.
Il turismo si rivela quindi, in particolare nei Paesi con un’economia emergente, uno tra i settori più importanti per la crescita economica e la creazione di posti di lavoro. Stiamo parlando di un ambito produttivo ad alta intensità di lavoro – in Africa sono più di 24 milioni le persone impiegate direttamente, pari sempre secondo il Wttc al 6,7% dell’intera forza lavoro continentale – e con la capacità di favorire forse la più ampia intersettorialità della produzione. Difatti l’indotto del turismo coinvolge ambiti produttivi che sono spesso considerati molto lontani e indipendenti l’uno dall’altro, dalle infrastrutture (con la costruzione per esempio di nuove strutture per l’ospitalità o il rafforzamento dei collegamenti di trasporto) fino all’industria culturale, come nel caso della creazione di offerte esperienziali per coinvolgere il viaggiatore non solo come spettatore passivo ma piuttosto come soggetto emotivamente ed intellettualmente attivo in un meccanismo di conoscenza reciproca.

Il turismo è per molti versi un settore dove la tendenza redistributiva è più alta che in altri ambiti, sia direttamente (si pensi ai posti di lavoro generati da un albergo o da un ristorante) sia indirettamente (guide turistiche, venditori di souvenir, artigiani). “In un Paese del Sahel – racconta Leonardo Francesco Paoluzzi, fondatore e amministratore di Kanaga Adventure Tours, tour operator specializzato nell’area sahelo-sahariana – una comitiva di 16 turisti occidentali può consentire di creare uno stipendio dignitoso per 50/60 famiglie”. Si capisce quindi come una situazione di instabilità e insicurezza possa allo stesso tempo avere effetti devastanti sulle rimesse di quelle famiglie che proprio sul turismo avevano legato le proprie sorti. Un esempio, in questo caso, ci viene dal Mali dove fino al 2011 operavano 500 imprese turistiche (benché oltre la metà fossero irregolari) e dove oggi le imprese turistiche presenti si contano sulle dita di una mano a causa della presenza di gruppi armati e di una situazione che resta tuttora molto delicata.

 

 

 

A fronte di questi fattori di rischio, in Africa c’è comunque la consapevolezza del potenziale esistente e la maggior parte dei Paesi africani ha elaborato piani strategici per sviluppare le opportunità offerte dal settore turistico come catalizzatore dello sviluppo economico. Se i Paesi del Nordafrica, il Sudafrica e le nazioni insulari nell’Oceano Indiano sono ancora le mete predilette soprattutto per la presenza di infrastrutture e collegamenti più efficienti, progressivamente anche altre destinazioni sono riuscite a trasformare la loro immagine grazie a campagne di promozione turistica svolte con successo, ma soprattutto grazie a concreti miglioramenti. Il Rwanda promuove così la sua capitale come sede di conferenze internazionali e al tempo stesso anche forme di turismo ambientale sostenibile e responsabile nei suoi parchi di montagna, mentre l’Etiopia propone ai visitatori internazionali le attrazioni artistiche e culturali dell’antico impero d’Abissinia. Una tendenza che infatti si riscontra nei governi africani è quella di incoraggiare in particolare flussi di arrivi selezionati anziché il turismo di massa per evitare che le presenze di visitatori dall’estero si aggiungano alle già gravi pressioni causate dall’aumento demografico, dall’urbanizzazione incalzante e dalle conseguenze negative dei cambiamenti climatici su territori e realtà sociali ancora fragili.

 

Parimenti, a fronte di questa spinta che arriva dall’Africa, dal cosiddetto nord del mondo ci dovrebbe essere una spinta a un turismo responsabile, come ha raccontato in un’intervista a Oltremare Maurizio Davolio, presidente dell’Associazione italiana turismo responsabile, organizzazione impegnata a diffondere tra i viaggiatori e i turisti valori come il contatto con le comunità locali, il rispetto della biodiversità e delle culture dei territori visitati, il supporto a progetti di sviluppo socio-economico e di auto-promozione.
Fare turismo responsabile, dice Davolio, significa privilegiare i valori delle comunità locali e gli interessi di quelle stesse comunità evitando per esempio il cosiddetto fenomeno del leakage, cioè la perdita di guadagno dei territori visitati ai quali spesso, con il turismo tradizionale, non restano che le “briciole”, cioè neanche il 20% degli investimenti, perché oltre l’80% viene assorbito dai ricavi degli agenti di viaggio, dalle compagnie aeree e dalle agenzie assicurative. L’obiettivo, conclude Davolio, è di estendere l’adozione di buone pratiche che consentano di raggiungere per le comunità locali una ricaduta economica di oltre il 40%.

 

 

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