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Etiopia: le borse di Semhal Guesh, fatte da donne per altre donne

Giovane architetto e designer, Semhal nel 2017 ha avviato ad Addis Abeba la sua Kabana: oggi dà lavoro a 80 persone, soprattutto donne, ed esporta anche negli Stati Uniti

Si chiama Kabana – che si potrebbe tradurre con un “Da noi al mondo” – ed è l’impresa che Semhal Guesh ha fondato tre anni fa in Etiopia. Dopo essersi guadagnata una laurea in architettura all’università di Addis Abeba, Semhal – 29 anni e tanta grinta – ha messo in atto quello che i suoi genitori le hanno insegnato fin da piccola: se vuoi raggiungere un obiettivo, puoi e devi impegnarti per farlo. 

“Il fatto di essere donna e di muovermi in un mondo, quello del business, che è quasi una prerogativa maschile, non è stato un freno, anzi, forse ha rappresentato una motivazione in più” racconta Semhal guidandoci all’interno della sua fabbrica dedicata alla produzione di prodotti in pelle, soprattutto borse. Quello del pellame, in particolare, è un settore in cui tutto sembra essere declinato al maschile, a partire da produttori e grossisti. Semhal tuttavia, da designer quale è – disegna lei stessa i prodotti dell’azienda – non soltanto non si è persa d’animo, ma è andata oltre: “Ho cominciato nel 2017, oggi impieghiamo 80 persone, l’80% delle quali sono donne; con la percentuale maschile che si azzera quando si arriva al management, che è tutto rosa”. 

 

 

Nella fabbrica di Semhal, in un ampio open space di un anonimo palazzo di Addis Abeba, hanno trovato spazio anche lavoratrici formate nell’ambito di SINCE, un progetto gestito dall’Ambasciata d’Italia che ha la particolarità di essere stato il primo progetto del Trust Fund dell’Unione Europea lanciato al vertice della Valletta nel 2015. SINCE, acronimo per Stemming Irregular Migration in Northern and Central Ethiopia, ha lo scopo di affrontare le cause profonde delle migrazioni in Africa, fornendo alternative e scelte che spesso coincidono con la fornitura di formazione e training, uno degli assi portanti dell’azione dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics) in Etiopia, dove l’Agenzia dispone di un grande centro operativo.

Così se la vera grande ricchezza dell’Africa, come sottolineano molti osservatori, sono i giovani, Semhal ne ha fatto un concetto proprio, creando lavoro e impegnandosi per migliorare le condizioni lavorative all’interno del suo impianto. Non è un caso quindi che una delle sue prime preoccupazioni sia stata quella di dare alle mamme assunte la possibilità di lasciare i figli piccoli in un asilo vicino. 

La storia di Semhal si incanala negli sforzi del Paese di dotarsi di industrie forti, in grado di creare valore aggiunto a materie prime abbondanti, ovvero in questo caso un patrimonio zootecnico tra i più importanti al mondo. 

 

Ricchezza nazionale

Provate a immaginare 12,5 milioni di famiglie contadine ovvero il 70% del totale della popolazione dell’Etiopia – circa 100 milioni di abitanti – che dipendono in parte o completamente per il loro sostentamento dal settore dell’allevamento. E poi mettete in fila i numeri del bestiame allevato, sempre in Etiopia: 58 milioni di bovini (la più ampia consistenza d’Africa, la sesta al mondo); 29 milioni di pecore (terza in Africa, decima al mondo); 30 milioni di capre (terza in Africa, ottava al mondo). Questi dati – diffusi dalla Fao e dal Leather Industry Development Institute (Lidi) – danno la misura della potenzialità inespressa dell’Etiopia in un ambito, quello della lavorazione della pelle e dei prodotti in pelle, in cui tra l’altro il Paese africano vanta una lunga e solida tradizione. 

In uno studio pubblicato nel 2019 dall’Austrian Foundation for Development Research (Ofse), un conteggio del fatturato generato dal settore della pelle e dei prodotti in pelle (in inglese Leather and Leather Products, Llp) ha evidenziato un trend in crescita benché i numeri non siano ancora determinanti. Così, se tra il 1996 e il 2000 la media delle esportazioni Llp era stata di 53 milioni di dollari all’anno, tra il 2013 e il 2017 la media è salita 135 milioni di dollari (dati UN Comtrade); allo stesso tempo, si è passati da 11.365 impiegati nel 2013 a 21.094 nel 2018.

 

 

Ad aumentare è stato soprattutto l’export di prodotti finiti, in particolare di calzature, grazie all’introduzione di norme che hanno favorito l’ampliarsi di realtà impegnate nella realizzazione di 

prodotti in pelle a più alto valore aggiunto. Certo, ci sono ancora diverse criticità, legate ai metodi di lavorazione e alle dimensioni spesso molto piccole degli operatori di settore. E c’è stata una completa trasformazione dei mercati di riferimento: se fino a dieci anni fa l’Unione Europea, e in particolare l’Italia, erano i primi sbocchi commerciali, adesso è soprattutto la Cina a farla da padrona assorbendo, come avvenuto nel 2017, più dell’80% della produzione delle pelli semilavorate (con l’Italia al 5%). E in questa crescita si è inserita Kabana, la società messa su da Semhal Guesh.

 

 

Un sogno che si fa realtà

“Ho cominciato con in tasca 300 Birr (la valuta etiopica), una laurea in architettura e l’idea di voler fare qualità in un settore che già sentivo mio, tanto da averci fatto una tesi” racconta Semhal. “A pochi anni dalla nascita di Kabana, oltre ai lavoratori diretti abbiamo stimato di fornire lavoro a una filiera di 400 persone. La nostra filosofia è promuovere chi lavora con noi in vari modi possibili: attraverso avanzamenti di carriera; forme di aiuto per l’avvio di proprie attività imprenditoriali (e finora è successo almeno sette volte); iniziative volte a sostenere per esempio le madri single”. Tutto questo senza dimenticare il mercato. “Da qualche tempo siamo entrati con i nostri prodotti nel mercato statunitense grazie anche a una partnership e per me è una grande soddisfazione e motivo di orgoglio”. Un orgoglio che ha trovato spazio anche nelle pagine della stampa nazionale etiopica che ha raccontato la storia di Semhal, esempio di quali traguardi possano essere raggiunti come donna imprenditrice e come giovane rappresentante di un intero Paese. 

 

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