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In Perù a Cerro de Pasco, una delle città più inquinate al mondo

Un documentario racconta il dramma della comunità che la miniera di El Tajo sta portando inesorabilmente alla morte. In uscita a giugno anche il libro fotografico

Un cratere lungo due chilometri e profondo quasi un chilometro da cui si estraggono tonnellate di rame, piombo e zinco. El Tajo è un’enorme miniera a cielo aperto a Cerro de Pasco, oltre 4-500 metri di altitudine, una delle città più povere del Perù nonostante i milioni di dollari generati da quattro secoli di sfruttamento minerario da parte delle grandi multinazionali.

Oggi gli abitanti di Cerro de Pasco, più di 70.000, vivono in una situazione di esclusione sociale ed economica senza riuscire a sottrarsi al destino di morte causato dalla contaminazione ambientale della miniera. Il sistema sanitario è quasi inesistente, quello educativo è prossimo al collasso e la popolazione non riceve aiuti governativi. L’estrazione mineraria ha fortemente danneggiato la salute degli abitanti e, secondo le analisi effettuate dall’organizzazione Source International, la totalità della popolazione presenta tracce di metalli pesanti nel sangue e dovrebbe sottoporsi a cure immediate per salvarsi la vita.

La difficile convivenza degli abitanti di Cerro de Pasco con El Tajo e il dramma della contaminazione ambientale è raccontato nel docufilm Donde los niños no sueñan (in italiano “Dove i bambini non sognano”) di Stefano Sbrulli. Venti minuti di narrazione lucida ed essenziale, che non cede mai all’ostentazione della sofferenza altrui, ma entra in punta di piedi nella vita dei protagonisti, salvaguardandone la dignità, per restituirci una realtà senza filtri, di forte impatto emotivo.

Frutto di un intenso lavoro documentaristico e fotografico realizzato in anni di viaggi fra Italia e Perù, si completa ora un progetto multimediale che l’autore racconta a Oltremare, in occasione della pubblicazione dell’omonimo libro fotografico, in uscita a giugno.

“Donde los niños no sueñan racconta, attraverso la voce di Lourdes, la vita a Cerro de Pasco e il dramma della malattia di Benyamin, il secondo dei suoi tre figli – spiega Sbrulli – sullo sfondo una città rocciosa e desolata, quasi lunare, tristemente abbandonata dall’assistenza sanitaria pubblica”.

Nella testimonianza di Lourdes il regista spiega di aver trovato “il conflitto fra la scelta di partire e lasciare le sue radici o restare per lottare contro questo ‘mostro’ invincibile della miniera, che sta rendendo l’ambiente inquinato e il futuro dei suoi figli sempre più precario”.

Continua l’autore: “Volevo raccontare cosa si nasconde dietro la contaminazione ambientale da parte delle grandi multinazionali e l’impatto sui Paesi che subiscono le conseguenze di un consumismo scellerato e irresponsabile. Ho iniziato così a focalizzarmi sull’estrazione mineraria in Sud America”. Come spiega Sbrulli, il Perù è uno dei Paesi con il più alto numero di attività estrattive al mondo. Oltre il 15% del territorio è in concessione di compagnie minerarie, per lo più straniere. La zona andina, oltre i 3.000 metri di quota, è l’area geologicamente più produttiva e la provincia di Pasco è un caso emblematico: con il 52,9% del territorio in concessione ad imprese minerarie, questa città è il fulcro delle attività mineraria della regione.

“L’inquinamento provocato da sessant’anni di estrazione industriale ne fanno uno dei luoghi più inquinati al mondo” afferma il regista. “Se si applicassero gli standard internazionali il 100% della popolazione andrebbe ricoverato d’urgenza per la presenza di metalli pesanti nell’ organismo. Il 33% delle morti infantili è dovuto a malformazioni congenite e l’incidenza di tumori è quattro volte la media nazionale”.

Dalle parole di Sbrulli emerge però “la fortuna di incontrare persone con la volontà di parlare della loro condizione mostrandomi i segni della malattia, con la voglia di raccontare gli abusi di cui sono vittime“. In alcuni casi “erano proprio loro ad accompagnarmi a casa di altre persone, oppure nei siti contaminati”. Quello che lo ha segnato maggiormente dal punto di vista emotivo è stata la giornata trascorsa insieme alla comunità per il funerale di Lionel, morto a soli cinque anni. “Ricordo di essere arrivato nella camera mortuaria alle 5:00 di mattina, mi colpì come questa morte avesse risvegliato quel sentimento di lotta e rabbia che fino a quel momento non avevo ancora riscontrato. Ma quel giorno successe anche qualcosa di particolare tra me e la comunità: iniziò un legame di fiducia molto più profondo. Il pomeriggio ci fu la sepoltura di Lionel, documentai la cerimonia e rimasi con loro fino alla fine. Quando tornai nel mio alloggio, per scaricare il materiale fotografico, mi accorsi che nelle foto nessuno mi guardava, nessuno dei presenti era turbato’dalla mia presenza estranea alla comunità: tutti avevano capito da che parte stavo”.

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