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Covid-19, effetti e controeffetti tra le produttrici di riso in Casamance, nel sud del Senegal

Nella regione la risicultura pluviale, tradizionalmente praticata dalle donne, ha rappresentato una fondamentale strategia di resilienza contro gli effetti della pandemia.

l 2 Marzo 2020, Il Covid-19 è arrivato in Senegal e si è diffuso fino a raggiungere le aree più rurali, isolate e povere del paese, come la Casamance, una regione naturale che si estende nell’ estremo sud del Senegal, tra la Gambia e la Guinea Bissau. Le famiglie in questa regione sono fra le più povere del Senegal e la loro sicurezza alimentare ed economica dipende fortemente dall’agricoltura e dalle instancabili donne che, in quanto madri, mogli, figlie e produttrici di riso, l’alimento base, rivestono un ruolo fondamentale nell’assicurare un pasto ai loro cari.
Al fine di comprendere come il Covid-19 abbia influito sulla sicurezza economica ed alimentare e sulle decisioni d’investimento delle produttrici di riso e delle loro famiglie, l’Istituto per la BioEconomia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Ibe) insieme al partner Senegalese, Institut Sénégalaise de Recherches Agricoles (Isra), durante i mesi di Ottobre-Novembre 2020, ha condotto un inchiesta che ha coinvolto 1339 produttrici di riso beneficiarie del progetto “Papsen Pais Assistenza Tecnica e Ricerca per lo Sviluppo” (Ppat&Rd) e dei programmi Papsen e Pais, finanziati dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics). I risultati presentati di seguito si riferiscono al periodo precedente all’inchiesta, dal momento di arrivo del Covid-19 in Senegal, Marzo 2020, all’inchiesta, inzio Novembre 2020.

Bounkiling ©Sara Burrone

I risultati mostrano che nonostante l’isolamento geografico caratterizzante molte aree interne della Casamance, il 92% delle produttrici è a conoscenza della pandemia e se ne dichiara molto preoccupata. In particolare, le produttrici di riso e le loro famiglie sono state colpite dalle conseguenze delle misure di contenimento del Covid-19 introdotte dal governo senegalese nei mesi di Marzo-Giugno 2020 come la restrizione ai movimenti, il divieto di aggregazione, il coprifuoco, e la chiusura delle attività non essenziali e di alcuni mercati, che se da una parte hanno contenuto la diffusione del virus, dall’altra hanno compromesso la catena di approvvigionamento alimentare e il sistema economico del Paese.

Il 93% delle produttrici ha avuto difficoltà a procurarsi del cibo a causa dell’impossibilità di raggiungere i mercati, della minore disponibilità dei prodotti alimentari, del loro rincaro, e della mancanza di denaro dovuta alla perdita delle loro attività economiche come il piccolo commercio. Nonostante le produttrici e le loro famiglie abbiano utilizzato le scorte alimentari, i risparmi, acquistato cibi più economici e venduto bestiame e beni durabili, il 70% delle famiglie ha sofferto d’insicurezza alimentare ed è stato costretto a cambiare le proprie abitudini alimentari, razionare il cibo, saltare un pasto o, cosa ancora più grave, digiunare per un’intera giornata.

Raccolto a Simbandi Balante ©Raciale Namatang

Ecco la voce di alcune produttrici: “Non avevamo più niente da mangiare, siamo stati affamati durante tutto questo periodo(Marzo-Novembre 2020)” (villaggio di Briou, Regione di Sédhiou); “Non è più possibile spostarsi per dedicarsi alle attività di piccolo commercio. Alcuni membri della famiglia non possono muoversi alla ricerca di un lavoro. Tutto ad un tratto è diventato difficile avere abbastanza cibo per tutta la famiglia.” (Villagio di Ndiama, Regione di Sédhiou) e ancora “È stato difficile trovare del cibo, la famiglia è numerosa e così abbiamo dovuto ridurre le quantità per evitare di soffrire la fame” (Villaggio di Coumbacara, Regione di Kolda).

Il Covid-19 non si è limitato a compromettere la sfera nutrizionale ma ha contribuito ad inasprire la situazione economica delle famiglie. Di fatto, nel 78% delle famiglie delle produttrici un membro ha perso il lavoro e per il 74% il reddito famigliare si è ridotto rispetto all’anno precedente. Con le loro parole: “Non ho più ricevuto aiuti economici dalla mia famiglia allargata perché quando chiedo un aiuto tutti mi rispondono che il Covid-19 ha colpito anche loro” (Villaggio di Bambali, Regione di Sédhiou) e ancora “Siamo stati costretti a vendere alcuni dei nostri prodotti agricoli a credito perché le persone non avevano soldi per pagare, ma i crediti non sono stati ancora ripagati. I prodotti rimanenti sono andati a male perché non abbiamo potuto spostarci per raggiungere il mercato e venderli a causa del Covid-19” (villaggio di Simbandi Balante, Regione di Sédhiou).

Raccolto a Djiredji ©Moussa Sagna

Tali difficoltà si sono manifestate nonostante gli aiuti apportati da ong, programmi e interventi governativi che hanno tuttavia evitato il raggiungimento di livelli ancor più gravi d’insicurezza alimentare. Infatti, dal momento in cui la pandemia è arrivata in Senegal, il 73% delle risicultrici ha potuto contare su un aiuto monetario o non monetario e il 90% di esse ha usufruito dagli aiuti alimentari provenienti dallo Stato, che ha quindi giocato un ruolo di sostegno fondamentale.

Si allestisce un semenzaio, Djimbana ©Raciale Namatang

Vista l’elevata insicurezza alimentare e la difficoltà a reperire il cibo, la risicultura ha rappresentato per le famiglie più vulnerabili, un importante mezzo di resilienza, infatti tale produzione è destinata all’auto-consumo garantendo così un accesso diretto al cibo. La pandemia e le sue conseguenze hanno anche influenzato le decisioni d’investimento delle produttrici, per il 24% delle famiglie, la risicoltura ha infatti rappresentato un impiego alternativo per coloro che hanno perso o ridotto il lavoro, il 57% ha aumentato il numero di parcelle di riso coltivate nella campagna agricole 2020/2021 e l’83% indica la risicultura come primo settore d’investimento per il prossimo anno. Questa scelta coraggiosa è stata supportata dagli interventi del progetto Ppat&Rd e dei programmi Papsen e Pais, che nonostante le difficoltà operative causate dal Covid-19 si sono riorganizzati per assicurare il loro sostegno alle produttrici di riso attraverso formazioni sulle buone pratiche agricole, attività di assistenza tecnica e la distribuzione di input agricoli, come sementi e fertilizzanti, in aggiunta a quelli forniti dallo Stato.

Durante la pandemia mondiale e tra le famiglie più vulnerabili, si riconferma il ruolo fondamentale delle donne nella gestione del rischio e nel garantire l’accesso all’alimento base alla propria famiglia. A conferma di ciò, nonostante le molteplici difficoltà causate dalla pandemia, nella campagna risicola 2020/2021 le produttrici hanno registrato degli ottimi rendimenti, la produttività media è infatti aumentata del 61,5% rispetto alla campagna agricola precedente, 2019/2020, che ha sofferto di una forte scarsità di pioggia.

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