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Evviva la scuola. Anche in Uganda, dove sono giorni straordinari

Dopo quasi due anni di chiusure si prova a ripartire. Cominciando dal tesoro più prezioso: le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi. Che sono il nostro futuro.

Esther e Selugo arrivano insieme, con l’uniforme bianca e i calzettoni grigi tirati su al ginocchio. “Gli insegnanti mi sono mancati” dice lui, nel cortile della Bishop’s Senior School a Mukono, una cittadina dell’Uganda. “Online non ho seguito alcun corso perché in famiglia non ne avevamo la possibilità: oggi mi sento alla grande”. Questo non è un giorno qualunque. Incontrare i compagni, sedersi al banco e ascoltare l’insegnante può essere un’esperienza straordinaria. Provate a fare i conti: dall’inizio della pandemia di Covid-19, in Uganda le scuole sono rimaste chiuse per 88 settimane. È stato un record mondiale anche se ci sono altri Paesi, come Bolivia, India, Nepal, Honduras, Panama, El Salvador, Argentina ed Ecuador, dove lo stop è durato oltre un anno e mezzo.

A Kampala la data del 10 gennaio, quella stabilita per la riapertura delle scuole, era segnata sul calendario da tempo. Riguardava circa 15 milioni di studenti, finiti a casa senza insegnanti né compagni oppure al lavoro, in condizioni di sfruttamento, quasi sempre pagati in modo informale, poco e male. “La chiusura degli istituti è durata quasi due anni e ha comportato una perdita di circa due miliardi e 900 milioni di ore di insegnamento ogni mese” dice a Oltremare Munir Safieldin, il rappresentante per l’Uganda del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). “Il ministero dell’Istruzione e dello sport ha ideato curricula ad hoc per recuperare l’apprendimento mancato e ha introdotto un sistema per prevenire, rilevare e gestire i casi di Covid-19 mantenendo le scuole aperte in sicurezza”.

Per capire come andrà ci vorrà tempo. “C’è attesa e anche entusiasmo, ma non bisogna farsi illusioni” avverte Salima Namusobya, direttrice di Initiative for Social and Economic Rights (Iser), una ong dell’Uganda in prima fila per il diritto allo studio. “Tante ragazze e tanti ragazzi non rientreranno in classe a causa di nuove povertà, sfruttamento lavorativo, matrimoni o gravidanze precoci”.

Secondo una ricerca dell’Autorità di pianificazione nazionale dell’Uganda, fino al 30 per cento degli studenti potrebbe essere tenuto lontano dai banchi dalla speranza di piccoli guadagni necessari ad aiutare le famiglie oppure da gravidanze e matrimoni precoci. L’Unicef ha calcolato che tra il marzo 2020 e il giugno 2021 il numero di bambine e ragazze incinte di età compresa tra i dieci e i 24 anni è aumentato di oltre il 22 per cento. A cercare impieghi sono stati poi sia alunni che insegnanti, in particolare quelli delle scuole private rimasti senza stipendio: secondo proiezioni dell’agosto scorso, più di 4mila istituti rischiavano di non riaprire per le difficoltà finanziarie.

A preoccupare è anche il rischio di un aumento delle disuguaglianze. “Torneranno a scuola soprattutto ragazzi del ceto medio o benestanti, che spesso negli ultimi due anni hanno potuto studiare online” sottolinea Namusobya. “Quest’opportunità è stata invece preclusa nei sobborghi e nelle aree rurali, dove non ci sono né soldi per le rette né computer né connessioni”. L’altro gap è di genere. “Saranno colpite in modo particolare le ragazze” sottolinea la direttrice di Iser. “In media le famiglie ugandesi hanno cinque figli in età scolare e, con poche risorse a disposizione molti genitori privilegeranno i maschi”.

Come in altri Paesi svantaggiati, in Uganda lo stop alle lezioni è stato motivato con i rischi di contagio aggravati dalla carenza di vaccini e dai ritardi delle campagne di immunizzazione. A livello nazionale, secondo stime aggiornate a questo mese, i casi di Covid-19 registrati sono stati 137mila e le vittime oltre 3.300. E’ probabile però che il virus si sia diffuso di più considerando che la quota di popolazione vaccinata con le dosi necessarie, stando alla piattaforma Our World in Data, supera di poco il tre per cento.

Safieldin parla di “molte sfide”, legate sia alla “sicurezza delle scuole” che al bisogno di “istruzione di qualità”. Di recente, il responsabile di Unicef ha presentato di un programma per il monitoraggio anti-Covid a scuola e per il sostegno psicologico a insegnanti e alunni, parte di una strategia governativa sostenuta anche da donazioni del Regno Unito e dell’Irlanda. L’iniziativa dovrebbe coinvolgere 40mila istituti, dalle
rive del lago Vittoria fino alla savana della regione di Karamoja.

Diritto allo studio e coesione sociale appaiono destinati a restare un riferimento essenziale per i programmi di sostegno internazionale. Con Oltremare ne parla Elisa Masi, dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), che evidenzia i nodi della dispersione scolastica e definisce la situazione preoccupante. “Dal marzo 2020 le soluzioni alternative sono state in molti casi la didattica a distanza, per chi aveva l’opportunità di avere un dispositivo, e a volte queste possibilità sono state potenziate con nuove forniture” sottolinea. “Rimane però il fatto che la scuola come istituzione, come luogo d’incontro e dove ricevere un pasto al giorno, è venuta meno; e i bambini che non sono in classe vagano spesso per le strade delle metropoli, più esposti a violenze e abusi”.

 

Biografia
Vincenzo Giardina
Nato a Padova, laureato in storia contemporanea, è un giornalista professionista. Coordina il notiziario internazionale dell’agenzia di stampa Dire. Tra le sue collaborazioni Il Venerdì di Repubblica, Internazionale, l’Espresso e Nigrizia. Già redattore dell’agenzia di stampa missionaria Misna, si è specializzato sull’Africa e sui temi dei diritti umani e della lotta contro le disuguaglianze. Scrive su Oltremare, magazine dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, e interviene come esperto o inviato su Radio Rai, Radio Vaticana e altre emittenti. Suoi articoli e reportage sono pubblicati anche da La Stampa e Vanity Fair. Parla più lingue, tra le quali il russo.
www.vincenzogiardina.org
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