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Oby Ezekwesili: con #bringbackourgirls mi prendo la Nigeria

Attivista ed ex ministro, candidata al Nobel e alla presidenza del suo Paese, invita a battersi per i diritti negati. Decisa a non fermarsi, perché le ragazze tornino a casa.

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“C’era una volta la Cina, presto ci sarà la Nigeria” assicura Obiagely Ezekwesili. Amici, sostenitori e pure qualche critico la chiama “Oby”. Perché questa donna di 55 anni, sguardo sereno che a volte diventa severo, è sempre più un personaggio pubblico. Tra le fondatrici dell’ong Transparency International, già vice-presidente per l’Africa della Banca mondiale, candidata al Nobel per la pace 2018 per l’impegno contro la corruzione, è nota in patria e all’estero soprattutto come animatrice di Bring Back Our Girls, il movimento che nel 2014 scosse il mondo conquistando anche il cuore di Michelle Obama. Molto passa da lì, da Chibok, la cittadina del nord-est della Nigeria dove un commando di Boko Haram portò via 276 liceali la notte prima degli esami. Era il 25 aprile 2014: alcune di loro riuscirono a scappare saltando giù dai pick-up degli islamisti, altre furono rilasciate in circostanze da chiarire. Di altre ancora, più di cento, non si è saputo più nulla. Il movimento e l’hashtag #BringBackOurGirls nacquero quella notte. In poche settimane, prima e dopo l’adesione della first lady americana alla campagna, hanno portato all’attenzione del mondo il dramma dei diritti negati, anzitutto alle ragazze: quello allo studio, alle libere scelte, alla vita stessa. Nel 2014, nel curriculum due master in diritto internazionale e diplomazia all’Università di Lagos e in Politiche pubbliche e amministrazione ad Harvard, Ezekwesili era già stata ministro nel primo governo nigeriano dopo la fine della dittatura militare. Tra il 2000 e il 2007 aveva guidato i dicasteri delle Risorse minerarie e soprattutto dell’Istruzione. Le accuse al nuovo governo, quello di Goodluck Jonathan, erano nate anche da queste esperienze.

 

 

Probabilmente per timore di essere contestato, a Chibok il presidente non andava. E delle ragazze rapite lo Stato sembrava non occuparsi affatto nonostante gli appelli e le suppliche dei familiari. Un’accusa che è tornata tante volte, prima e dopo il cambiamento alla presidenza, con la sconfitta del People’s Democratic Party di Jonathan e l’elezione di Muhammadu Buhari. Con un aggravante: il nuovo capo dello Stato aveva assicurato che Boko Haram sarebbe stato sconfitto e che le ragazze sarebbero state “riportate a casa”. Una promessa mancata della quale adesso bisogna rendere conto, ripete Ezekwesili. A febbraio ci sono le elezioni, Buhari cerca una conferma e lei si è candidata. L’annuncio, rilanciato dalla stampa internazionale con l’immancabile riferimento a #BringBackOurGirls, è giunto poche settimane fa. Il partito di Ezekwesili si chiama Action Congress Party of Nigeria ma in questa storia, forse, è un dettaglio. “Voglio servire i cittadini con interventi decisivi in alcune grandi idee per costruire un grande Paese” ha detto Ezekwesili in conferenza stampa. Il contesto è la crescita dell’inflazione innescata dal caro benzina, ennesimo paradosso in Nigeria, prima potenza petrolifera d’Africa. L’impegno ripartire dai diritti, la sfida più difficile in un Paese di 180 milioni di abitanti dove una persona su due vive in povertà. Il riferimento alla Cina, metro di paragone e fonte d’ispirazione che a sud del Sahara ritorna di continuo, si spiega così. “Gli ultimi studi dicono che il 40 per cento dei casi di povertà estrema nel 2050 saranno concentrati in Africa” calcola Ezekwesili: “Per smentire queste previsioni dobbiamo cambiare drasticamente il modo in cui, come Paese, affrontiamo i problemi”. In attesa che le ragazze di Chibok tornino a casa, ci sarebbe spazio per la speranza. Anche perché, ricorda Ezekwesili, lo sguardo che si rasserena, “nel mondo dal 1990 le persone liberate dalla povertà sono state più di un miliardo e 200 milioni”.

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