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Partecipata e popolare: la cooperazione secondo Christelle Kalhoule

Rappresenta le ong del Burkina Faso e di altre 68 piattaforme nazionali. E a Coopera parla di inclusione, come Marina Ponti e Ivana Borsotto

“Servono politiche che affrontino i problemi della gente” dice guardandoti negli occhi Christelle Kalhoule, le trecce raccolte che le cadono sull’abito lungo. Sorride, sul palco dell’Auditorium in via della Conciliazione, a Roma, pochi minuti dopo aver parlato di fronte al presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella. La voce è ferma come prima, forse c’è meno tensione, ma anche adesso va dritta al punto. Ci sono i ringraziamenti all’Italia e a tutti i Paesi che “con spirito di solidarietà” si impegnano nella cooperazione internazionale, e c’è un monito: “Bisogna lavorare con le organizzazioni della società civile che stanno nelle comunità, vivono con loro e sanno come affrontare i problemi per esperienza diretta”.

Sul palco di Coopera, la conferenza della cooperazione italiana allo sviluppo del 23 e 24 giugno, Kalhoule non rappresenta solo il suo Paese di origine. Guida infatti la piattaforma delle organizzazioni non governative del Burkina Faso e allo stesso tempo Forus International, un’alleanza globale alla quale aderiscono 68 piattaforme e circa 22mila realtà della società civile. Ed è di questo, di partecipazione, contributi dal basso e capacità di ascoltare, che parla a Roma. Una delle sue parole chiave è “inclusione”, il contrario delle decisioni calate dall’alto, che quasi mai danno buoni frutti perché sono avulse “dai problemi della gente”.

Christelle Kalhoule sul palco di Coopera 2022

Prendete il Burkina Baso. “Dal 2015 sta affrontando una grave crisi di sicurezza e umanitaria, abbiamo più di un milione e 900mila sfollati e sono state uccise migliaia di civili” ricorda Kalhoule. La sua tesi è che la situazione è critica ma anche che ci sono vie possibili, tutte da percorrere: “Le ong e gli altri stakeholder stanno lavorando sulla coesione sociale perché ci sono conflitti che sono dovuti ad attacchi da parte di gruppi armati non statali ma ce ne sono anche altri dei quali sono responsabili realtà di matrice comunitaria”. Kalhoule è convinta che ci sia un legame decisivo tra violenza e mancanza di opportunità. “La radicalizzazione di alcuni gruppi è un fenomeno determinato dalla povertà estrema” dice. “Le ong hanno un ruolo cruciale perché puntano sulla formazione e l’inclusione sociale, affinché tutte le voci possano essere ascoltate”.

Nelle ultime settimane in Burkina Faso si sono verificati più volte raid e violenze di formazioni armate. Secondo il governo locale, solo l’11 giugno almeno 55 persone sono state uccise nel villaggio di Seytenga, nel distretto settentrionale di Seno. Alcune di queste violenze sono attribuite a gruppi di matrice jihadista, come Al Qaeda o lo Stato islamico nel Grande Sahara. In una sola incursione, nel luglio 2021, nella cittadina di Solhan, le vittime sono state oltre 160. Anche come reazione all’insicurezza diffusa, nel gennaio scorso, un golpe militare ha portato al potere la giunta del colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba.

Secondo Kalhoule, oggi più che mai le organizzazioni della società civile sono chiamate a offrire un contributo. “In Burkina Faso stanno promuovendo il dialogo tra comunità, tra gruppi religiosi e anche tra realtà locali e governo nazionale” sottolinea la presidente di Forus. “Questo è un momento decisivo; oltre a rispondere alla crisi umanitaria, che è terribile, le associazioni stanno sostenendo il dialogo e la costruzione della pace attraverso meccanismi per la risoluzione dei conflitti”.

Secondo Kalhoule, nel Sahel la crisi è “multidimensionale”. E le interconnessioni tra le sfide da affrontare, sociali, ambientali e politiche, sono un tema che a Coopera ritorna. Ne parla Marina Ponti, direttrice globale della Campagna dell’Onu per gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Un Sdg Action Campaign). Radici milanesi e un curriculum distribuito tra il mondo delle ong e la galassia delle Nazioni Unite, dove è arrivata nel 2001 da Mani Tese, è convinta che “l’unica azione efficace oggi è l’azione collettiva, si tratti di persone, comunità o Stati”.

La partecipazione, come via possibile per il cambiamento, è la chiave della Campagna delle Nazioni Unite. “Oggi vediamo che di fronte alle sfide globali, magari per la frustrazione, c’è il rischio che ci si guardi solo dentro e si trovino risposte nazionali o individuali, in qualche modo sperando di poter sopravvivere”. Questa scelta finirebbe però solo con l’aggravare i problemi, secondo Ponti: “C’è bisogno di riaffermare un sistema multilaterale, che è il dialogo di tutti, perché siamo un’unica popolazione, abbiamo un unico pianeta e se non siamo tutti al sicuro e i nostri diritti essenziali non sono soddisfatti allora nessuno in fondo sarà al sicuro”.

Dalle persone parte anche Ivana Borsotto, presidente della federazione cristiana Focsiv nonché portavoce della Campagna 0,70, un’iniziativa promossa insieme con le reti della società civile Aoi, Cini e Link 2007. A Coopera interviene subito dopo Kalhoule e, insieme con lei, rilancia l’appello perché l’Italia e gli altri Paesi europei rispettino l’impegno assunto in sede Onu di investire almeno lo 0,70 del Reddito nazionale lordo nell’aiuto pubblico allo sviluppo.

Ivana Borsotto durante Coopera 2022

Quello delle risorse, pur centrale, con l’Italia nel 2021 ferma allo 0,28, non è però l’unico nodo. Sulla base dell’esperienza di 87 ong al lavoro in oltre 80 Paesi, Borsotto parla di partecipazione, intesa come ascolto e apertura al contributo degli altri: “Vogliamo”, dice, “essere protagonisti della co-programmazione, valorizzando le nostre competenze, in tempi difficili di guerre e pandemia, vecchie e nuove povertà”. L’idea è che si possa e anzi si debba raggiungere anche “le periferie e le comunità più isolate”. Un appello che ritorna il 23 e il 24 giugno nelle parole di una delle animatrici della conferenza di Roma, la viceministra degli Affari esteri Marina Sereni. “Nel nostro Paese”, dice, “la cooperazione allo sviluppo ha una radice popolare profonda”.

Biografia
Vincenzo Giardina
Nato a Padova, laureato in storia contemporanea, è un giornalista professionista. Coordina il notiziario internazionale dell’agenzia di stampa Dire. Tra le sue collaborazioni Il Venerdì di Repubblica, Internazionale, l’Espresso e Nigrizia. Già redattore dell’agenzia di stampa missionaria Misna, si è specializzato sull’Africa e sui temi dei diritti umani e della lotta contro le disuguaglianze. Scrive su Oltremare, magazine dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, e interviene come esperto o inviato su Radio Rai, Radio Vaticana e altre emittenti. Suoi articoli e reportage sono pubblicati anche da La Stampa e Vanity Fair. Parla più lingue, tra le quali il russo.
www.vincenzogiardina.org
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