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Bonacina (Vita) a Oltremare: “Non spieghiamo solo cos’è la cooperazione, ma raccontiamo le sue storie, facciamo parlare i nostri partner e non copriamo la loro voce”

Oltremare in questa nuova puntata della rubrica "La parola ai direttori" ha raccolto le considerazioni di Riccardo Bonacina, fondatore e direttore editoriale del magazine no profit Vita

La necessità di un cambio nella narrazione del Sud del mondo si inserisce in una riflessione su un tema più ampio: un cambio di narrazione generale, sempre più impellente per quanti sono impegnati nei percorsi di solidarietà, inclusione e sostenibilità sociale, economica e ambientale. È il lavoro che da quasi trent’anni fa Vita, un progetto editoriale interamente dedicato al mondo non profit fondato, nel ’94, da Riccardo Bonacina, che è presidente e direttore editoriale. Le sue riflessioni, raccolte di seguito, nascono da quel lavoro e dal rapporto incessante e proficuo con le organizzazioni italiane e internazionali. Una bella lezione per quanti si occupano di comunicazione, e non solo.

Le parole per dirlo. Dobbiamo scommettere sulle parole, ricostruire il senso

All’apice dell’era della comunicazione – siamo in difficoltà a comunicare efficacemente. Il proliferare di strumenti e canali ha reso sempre più difficile capire cosa trasmettere di sé e come. In questo frastuono fatto di marketing e social media, nasce la necessità per noi (singoli, aziende, organizzazioni, pubbliche amministrazioni) di esprimere la nostra identità e le nostre informazioni in modo diretto, sobrio ed efficace.

Ma non tutto è messaggio, non tutto è comunicazione, a partire dalla storia, dalla identità, dalla natura e dalla percezione che ciascuno (individuo o organizzazione) ha di sé. La domanda è quindi molto semplice: è possibile rompere questa melassa in modo vantaggioso? Forse sì, a patto che dalla comunicazione si passi all’espressione: significa cambiare la modalità di porgersi. “Chi sono io?”, solo se rispondo a questa domanda posso esprimermi al meglio e farmi conoscere per ciò che realmente sono.

Come la linguistica e le neuroscienze ci insegnano: le parole non descrivono il mondo ma lo creano. Del resto il racconto della Genesi biblica ci indica che Dio chiama l’uomo a nominare il mondo e ciò che lo abita. Quando si dice una cosa, quella cosa ‘è’, ‘sta’, è messa al mondo. Dire “criminale” o dire “animali” nomina un mondo e lo creano. Parlare di ‘lavori forzati” e di “marcire in galera” fanno esistere queste espressioni introducendole come realtà mondane e possibili, anzi, già esistenti. Parlare di terza guerra mondiale e di testate nucleari rendono possibile il disastro

Dobbiamo lottare contro le parole sbagliate, lo facciamo ed è giusto farlo (vedi l’importante esperienza di Parole ostili). Ma non basta, non bastano i giochi di parole, il confronto delle opinioni (che tra l’altro è un gioco mai condotto da noi), l’essere a favore o contro è gioco sempre da scartare, una logica binaria che non potrà mai esprimere né i nostri ideali né le nostre storie. Ad esempio il pacifismo da social.

Che sono le opinioni? Come faccio ad avere un’opinione sull’immigrazione? Quello che serve sono le idee fondate sull’esperienza. Le Osc cosa portano? Un’esperienza e delle idee, le Organizzazioni della società civile contribuiscono a ricostruire una società fondata sull’esperienza, cioè sull’incontro, e sulle idee, non su astrazioni, ma sull’idealità che muove. L’opinione può rispondere solo alla logica del sono a favore o sono contro, le Ong scartino di lato questo gioco becero. Un gioco a cui troppo spesso siamo costretti e spesso inconsapevolmente. Tu non devi essere a favore, devi essere quello che porta un’idea sulla base di un’esperienza. Bisogna rifiutare la logica binaria, il gioco di like e dislike, il problema sono le idee.

Occorre agire, bisogna mettere in campo gesti, evidenze, pezzi di vita. Bisogna uscire dal circuito delle opinioni per far irrompere la vita. “Scommettete sulle parole”, ci ha insegnato il grande antropologo Arjun Appadurai, “perché lì si coltiva il senso”. “Le parole creano possibilità per incanalare la rabbia in qualcosa di costruttivo”. Ma dobbiamo capire a fondo il loro potere e il potere delle immagini e delle metafore che usiamo e che devono sempre essere originate dall’esperienza.

Ripartire dalla realtà contro ogni astrazione

La realtà innanzitutto. Il mio padre putativo, Giovanni Testori, mi ha insegnato questo: “Non sbaglierà, nonostante tutti gli errori, chi avrà voluto bene alla realtà, ossia alla creazione. Amando la realtà, ci sei dentro, ci vivi già dentro e abbracci il tuo tema, la vita, senza bisogno di astrazioni. Basta amare la realtà, sempre, in tutti i modi, anche nel modo precipitoso e approssimativo che è stato il mio. Ma amarla. Per il resto non ci sono precetti”. La realtà è il focus dell’informazione che ho cercato di praticare in questi anni, si parte da lì, non ma un’idea, non da un pre-giudizio da applicare sulla realtà. Ma incontrando la realtà. Incontro alla realtà contro ogni astrazione.

Chi racconta la realtà deve “compromettersi” con la realtà che racconta, guardandola in faccia, cercando un rapporto con la realtà. Capite come è importante questo in particolare per le situazioni quotidiane e per chi si occupa della fragilità! Bisogna avvicinarsi alla realtà non allontanarsi per una pretesa obiettività. Andare vicino a colui che racconti, guardarlo negli occhi.

Non si può raccontare gli altri rimanendone lontani, in una prospettiva diversa, altra rispetto all’esistenza reale che essi ogni giorno conducono. Ryszard Kapuscinski giustamente scriveva che: “Il cinico non è adatto al mestiere di corrispondente di guerra o di corrispondente estero. Questa professione, o missione, presuppone una certa comprensione per la miseria umana, esige simpatia per la gente. […] Un mestiere del genere non si esercita senza calore umano”.

Se non racconti la tua storia qualcun altro la racconterà per te

Se non raccontiamo la nostra storia, qualcun altro la racconterà per noi. Se non usiamo le parole adatte, le parole non si allineeranno alle cose e alle esperienze. E le cose – soprattutto le più importanti – resteranno mute. Il capitale narrativo – insieme di parole, pratiche, storie, esperienze – è quanto di più prezioso un’organizzazione possieda. “Definitevi e definite la vostra azione, prima che siano gli altri a farlo, etichettandovi” insegna il neurolinguista George Lakoff.

Trovare le parole è necessario. Raccontare la propria storia con quelle parole lo è ancora di più. È necessario soprattutto oggi che le fake news sono state sdoganate anche sul piano istituzionale. È necessario perché, toccando il cuore dell’agire umanitario, disinformazione, manipolazione e misinformation inconsapevole rischiano di compromettere l’intero campo della società civile, non solo la sua immagine.

Per questo la crisi che stiamo attraversando è, ma al contempo è anche molto di più, una radicale information crisis. Con la guerra ce ne siamo resi ben conto. Per contrastare l’odio e l’indifferenza occorre ripartire dalla base: costruire reti di coerenza e di fiducia. Reti di fiducia tra le persone. Reti di coerenza fra le parole e le cose. Lavorare sul capitale sociale, in un tempo che punta alla sua dissipazione, è la sfida della comunicazione civile.

Fuori dalla bolla

Fuori dalla bolla c’è il mondo, ci sono i ragazzi che nella pandemia si sono avvicinati al volontariato, il mondo ha fame delle nostre parole, questi ragazzi hanno fame del nostro vocabolario, dei valori per cui spendiamo le nostre vite. C’è fame di solidarietà perché un mondo di uomini soli è un mondo terribile, depresso e meno libero, c’è fame di cooperazione perché fare insieme è più conveniente, c’è fame di sviluppo ordinato e sostenibile perché abbiamo capito che occorre un nuovo paradigma economico. Sono parole e valori bellissimi e finanche di moda, sharing, sostenibilità, collaborazione, valori che stanno generando nuovi modelli di pensiero ed economici. Invece di enunciarli dobbiamo renderli visibili in tutta la loro consistenza e carne. Raccontando storie.  Le esperienze che facciamo.

Raccontare, raccontare e raccontare

Raccontare le storie di solidarietà e cooperazione per dare sostanza alle parole perché il mondo, come scriveva Sant’Agostino, si cambia “per attrazione” non per regole o morali. Shane Snow, giovane co-founder di Contently, piattaforma di contenuti che mette in rete 45mila tra giornalisti, grafici, fotografi, storyteller) scrive che “Solo le grandi storie creano relazioni con le persone e ne risvegliano l’interesse, le accendono, le spingono ad attivarsi”. E noi siamo pieni di grandi storie, storie bellissime capaci di suscitare empatia.

Non dobbiamo spiegare cosa sia la cooperazione allo sviluppo (ovviamente anche) ma raccontare le sue storie. Con un’attenzione, lasciamo parlare le persone che incontriamo e che aiutiamo o da cui ci facciamo aiutare, diamo loro la parola perché si raccontino e ci raccontino.

“L’Africa muore in silenzio perché nessuno ascolta la sua voce”, scrisse Ryszard Kapuscinski. Detto dal più grande giornalista africanista del ventesimo secolo, c’è materia su cui riflettere. E fare. Facciamo parlare i nostri partner, non copriamo la loro voce.

Biografia
Riccardo Bonacina
Nato a Lecco nel 1954. Dal 1985 prova a raccontare l’Italia dei soggetti sociali in tutti i modi e ovunque: in Rai, su Sky, in radio su Radio Rai e Radio 24, ma soprattutto, dal 1994 con Vita, il magazine e il media del non profit e della società civile italiana ed europea che ha fondato e di cui è tuttora direttore editoriale. Per il Coraggio di vivere, trasmissione quotidiana su Raidue, riceve nel 1994 il premio della critica televisiva (Aicrt) come migliore autore tv e il premio Navicella, dell’Ente dello spettacolo, come miglior conduttore di programmi di informazione. Con Radio Help, trasmissione quotidiana su Radio Raiuno vince nel novembre 1996 il premio annuale per l’informazione della Fondazione Merloni.  Nel luglio 2000 riceve l’ambito riconoscimento “dei giornalisti ai giornalisti”, Il Premiolino per la qualità di un magazine dedicato alla solidarietà come Vita. Nel luglio 2005 gli viene assegnato il premio Colomba d’oro per la pace promosso dall’ Archivio disarmo e dalla Presidenza della Repubblica.
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