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Tunisia: il turismo che resiste ai colpi degli estremisti, e la battaglia di un popolo che lotta per la sua democrazia

Circa due anni fa, era l’ottobre del 2016, Abdelwahib Khechini, direttore commerciale del Carthage Thalasso Resort, un hotel di lusso da 236 camere alle porte di Tunisi, guardava sconsolato la piscina semideserta della sua struttura. Erano trascorsi poco più di dodici mesi dagli attentati al Museo del Bardo e a un hotel di Sousse, e nel 2015 il settore turistico aveva fatto segnare in termini di volumi un pesante -35% (questo e quelli che seguono sono dati forniti dal governo tunisino).

Certo, aveva detto in quella occasione Khechini, c’erano stati gli attentati, ma anche una copertura mediatica che aveva impietosamente enfatizzato le difficoltà del Paese. Che Tunisi, tuttavia, fosse alle prese con il ritorno di giovani che avevano combattuto tra le file di gruppi estremisti in Siria e in Libia, era già a quel tempo un dato innegabile.

Un quadro complesso e difficile, se solo si pensa al peso tradizionalmente rivestito dal settore turistico in Tunisia. Paese senza grandi risorse naturali, la Tunisia ha fragilità strutturali che fanno da contraltare al successo della transizione politica seguita alla caduta nel 2011 del regime di Zine El-Abidine Ben Ali. In questa assenza di risorse, il turismo ha avuto un peso preponderante in termini di ingressi di valuta estera, ma anche e soprattutto in relazione al mercato occupazionale.

Prima della crisi del 2015, il turismo rappresentava il 7% del pil, circa il 14% degli impieghi (diretti e indiretti) e uno sbocco privilegiato per diversi settori, in particolare per l’agricoltura e l’agroalimentare. Si pensi solo a quella filiera che parte dal campo coltivato e arriva alla tavola imbandita del ristorante che ospita il turista partito dalla Francia o dall’Italia, moltiplicato per sette milioni di turisti all’anno. Tanti erano infatti i turisti che avevano scelto la Tunisia nel 2010.

Alla fine del 2010 si hanno le prime proteste contro il governo, quindi a gennaio si chiude l’epoca di Ben Ali e si apre un periodo di transizione segnato dalla ferita degli attentati del 2015. Una ferita che ha come primo effetto il crollo degli ingressi turistici: quell’anno si chiuderà con 4,2 milioni di presenze. La crisi economica generata dall’instabilità ha avuto un impatto pesante sulla Tunisia per l’assenza, oltre che di risorse naturali strategiche, di un’industria in grado di rispondere alle sfide del momento. “Il 2015 segna per la Tunisia un cambio di clima pesante” sottolinea Arturo Varvelli, ricercatore e responsabile del Programma Nord Africa dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi). “La Tunisia è forse l’unico Paese che sta uscendo con una forma di equilibrio nuova dal periodo delle Primavere arabe – prosegue Varvelli – ma gli attentati del 2015 le hanno inferto un colpo non certo indifferente”.

Se non c’è stato il tonfo sperato da chi aveva voluto quegli attacchi, restano ancora intatte le ferite in seno alla compagine sociale rese evidenti dalle manifestazioni di piazza di fine anno contro le misure economiche varate dal governo e dalla bassa affluenza alle urne registrata in occasione delle elezioni amministrative degli inizi di maggio.

C’è poi da dire, come faceva notare in un’analisi il Carnegie Middle East Center, che il tipo di turismo sviluppato in Tunisia – un turismo di massa e a basso costo – risentiva più che altrove di contraccolpi internazionali e del generale contesto di insicurezza.

Nel 2016 però si inverte la tendenza, rafforzata nel 2017. “Ad aumentare – racconta Souheil Chaabani, direttore dell’ufficio di Milano dell’Ente Nazionale Tunisino per il Turismo – è anche la presenza italiana. Gli italiani che hanno visitato la Tunisia lo scorso anno sono stati 88.000, il 22% in più rispetto al 2016, e tutto lascia pensare che anche il 2018 vada bene, dal momento che nel primo quadrimestre gli italiani che hanno scelto la Tunisia per trascorrere le vacanze sono stati 26.000, ovvero il 15% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente”.

In totale, nel 2017 sono stati oltre sette milioni i turisti che hanno scelto la Tunisia, con russi, francesi e tedeschi nelle prime tre posizioni per numero di presenze. E che il turismo continui a rappresentare un asset fondamentale per il Paese sono sempre i numeri a dirlo: “L’industria del turismo – dice ancora Chaabani – rappresenta oggi il 7% del pil, il 5% degli investimenti esteri diretti, il 12% dei posti di lavoro; sono infatti 450.000 le persone impiegate direttamente e indirettamente in questo settore”. L’obiettivo del governo d’altra parte è chiaro e quasi obbligato: chiudere l’anno con almeno 8 milioni di presenze e arrivare a 10 milioni di turisti entro il 2020.

“A contare in questo rilancio del turismo è stato soprattutto un recupero di fiducia – racconta soddisfatto l’ambasciatore di Tunisi a Roma, Moez Sinaoui – avvenuto anche grazie alla collaborazione tra il governo e i nostri partner storici. Per esempio stanno portando frutti le attività della Cooperazione Italiana nel campo archeologico, con riflessi che vanno oltre la cultura e che giungono all’economia”. Questo recupero di fiducia è stato visibile nel tradizionale pellegrinaggio degli ebrei all’antica sinagoga di Ghriba, nell’isola di Djerba. “Un pellegrinaggio che solitamente apre la stagione turistica tunisina – aggiunge Sinaoui – e che negli ultimi anni era stato più contenuto mentre quest’anno ha registrato la partecipazione di almeno 6000 persone provenienti dalla Tunisia e da altri Paesi”.

Ghriba è un luogo simbolico, anche di resistenza agli estremismi, sicuramente di convivenza. La sinagoga è stata per secoli il cuore di una tra le più fiorenti comunità ebraiche del Mediterraneo e del mondo arabo, che fino a pochi decenni fa contava oltre centomila persone; oggi, il numero degli ebrei di Djerba si è ridotto a poco più di 1500 persone ma nei giorni del pellegrinaggio (quest’anno si è svolto dal 3 al 6 maggio) tutto cambia. “Vedere rifiorire Ghriba – conclude Sinaoui – è sì qualcosa di simbolico ma allo stesso tempo di molto concreto, che spinge a essere fiduciosi per il futuro”.

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