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Quale Tunisia dieci anni dopo Mohamed Bouazizi

Era il 17 dicembre del 2010 quando un venditore ambulante si immolò in segno di protesta contro un sistema oppressivo. Ne è nata una rivoluzione che ha dato frutti preziosi ma che è da portare a termine.

Quale valutazione possiamo dare della Tunisia dieci anni dopo la rivoluzione dei gelsomini? Era il 17 dicembre del 2010 quando Mohamed Bouazizi, venditore ambulante di Sidi Bouzid, si diede fuoco in segno di protesta contro gli agenti di polizia che gli avevano confiscato la merce e lo avevano umiliato. Bouazizi morì il successivo 4 gennaio, ma il suo gesto e poi la sua morte innescarono una rivolta che portò alla caduta dell’allora presidente Zine El Abidine Ben Ali. “Una rivolta, non una rivoluzione perché non legata a un movimento politico particolare, che nasceva da questioni sociali ed economiche profonde” dice a Oltremare Antonino Pellitteri, docente di Storia dei Paesi Arabi ed Islamistica presso l’Università degli Studi di Palermo. Questioni sociali ed economiche che dieci anni dopo sono ancora lì, secondo il parere dello studioso.

Un parere condiviso da diversi altri osservatori, secondo i quali l’attuale quadro economico e sociale tunisino risente di fattori esterni e della mancata attuazione di riforme strutturali. Allo stesso tempo, è necessario sottolineare come quella rivolta o rivoluzione abbia portato benefici sul fronte dei diritti fondamentali, come la libertà di espressione, abbia innescato un processo politico effettivamente democratico, abbia in poche parole dato l’immagine di una Tunisia quale modello di possibile sviluppo per gli altri Paesi del bacino mediterraneo. Anche il quadro della sicurezza ha tenuto, nonostante le sfide poste dal terrorismo internazionale e nonostante il conflitto in Libia e i sommovimenti algerini, e questo è un fattore che non può essere di certo sottostimato.

Il ministro degli Esteri e della cooperazione internazionale, Luigi di Maio, con il presidente della Repubblica tunisino, Kais Saied. Gennaio 2020 Da Facebook Luigi di Maio

“La rivolta tunisina – aggiunge Pellitteri – è stata una risposta spontanea a bisogni economici e sociali sentiti. Il resto della cosiddetta Primavera araba si è invece presto rivelato un teatro di interferenze esterne e interessi internazionali”. Il differente scenario tunisino ha poggiato inoltre sulla presenza di sindacati e su un percorso storico che già aveva visto la popolazione scendere in piazza per difendere i propri diritti. “Il prodotto di quella rivolta – sottolinea ancora Pellitteri – è oggi un allargamento delle maglie nel campo della libertà di espressione, dell’azione politica, della vita sindacale e associativa. Però tutto questo è stato generato in un contesto dominato da problematiche economiche e sociali, preoccupazione per il futuro, timori legati alla fragilità del contesto regionale”. Un quadro che, sottolinea ancora lo studioso, “non consente una piena coscienza del cambiamento intercorso e dei risultati comunque raggiunti” e che è stato reso più complicato dal Covid-19 e dagli effetti che questo ha avuto su un settore nevralgico come quello del turismo. Dopo aver subito i colpi degli attacchi terroristici, il turismo era ripartito ripristinando, oltre a una voce importante del Oil e degli ingressi in valuta, anche e soprattutto migliaia di posti di lavoro che, benché stagionali, hanno tradizionalmente consentito un’entrata significativa per numerose famiglie. Nel 2020 questa entrata non c’è stata, la stagione turistica è rimasta ferma come nel resto del mondo. Le attese sono tutte riposte sulla prossima stagione, nella speranza che i vaccini consentano un recupero della normalità.

Al di là del Covid-19 e superato l’appuntamento elettorale del 2019 con una soluzione faticosa per trovare un governo, nello studio “La Tunisia tra sfide e nuovi percorsi di sviluppo”, firmato da Flavio Lovisolo, Enrica Hofer e Vittoria Longato – tutti attivi a vario titolo nell’ufficio di Tunisi dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) – si evidenzia come “l’esecutivo dovrà affrontare uno scenario socio-economico di complessa gestione, le indispensabili riforme del settore finanziario e bancario, la necessaria riduzione del deficit del budget dello Stato (…), l’adeguamento delle infrastrutture…”. Una serie di sfide da cui dipenderanno le sorti di un Paese che nonostante tutto ha mostrato di avere gli anticorpi per reagire a situazioni difficili, che ha raggiunto risultati positivi nella sicurezza interna e che è ricco di potenzialità e punti di forza.

© Céline Camoin / InfoAfrica

È innegabile, scrivono Lovisolo, Hofer e Longato, l’importanza delle riforme strutturali intraprese negli ultimi anni, accompagnate successivamente dall’avvio del percorso di decentramento e di sviluppo locale. “A questo dobbiamo aggiungere la grande potenzialità del mondo giovanile tunisino, con una forte tensione verso la libertà di pensiero, dei costumi e del sapere, alla ricerca determinata di una vita migliore; tensioni che forse potrebbero essere riconducibili a quelle che animavano i giovani del dopoguerra italiano. Le centinaia di piccoli e medi imprenditori tunisini che hanno utilizzato la linea di credito della Cooperazione italiana fanno parte di un tessuto virtuoso di impegno e di lavoro che vuole cambiare la Tunisia, coscienti anche del ruolo sociale della loro impresa”.

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