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Mozambico, foto di apertura, cerimonia di laurea a Beira

Cuamm, non solo emergenza Covid-19: “Costruiamo futuro (anche in Mozambico)”

Il piano di contenimento del nuovo coronavirus elaborato insieme con il governo di Maputo. Ma anche l’impegno sul medio e lungo periodo. Al fianco di un’Africa ancora fragile

Gel alcolico e mascherine protettive, senza dimenticare camici e lenzuola. Consegnati in 23 ospedali d’Africa, dalla Sierra Leone all’Etiopia, dal Sud Sudan al Mozambico. E poi piani di contenimento, perché i casi di contagio dal nuovo coronavirus, il Covid-19, sono in aumento. Nuovi impegni di Medici con l’Africa Cuamm dei quali, con Oltremare, parla Giovanna De Meneghi, rappresentante in Mozambico dell’organizzazione missionaria nata a Padova 70 anni fa. L’ex colonia portoghese è solo uno degli otto Paesi subsahariani dove opera l’ong, ma anche un contesto esemplare per l’intrecciarsi continuo delle prospettive dell’emergenza, da un lato, e dell’accompagnamento nel medio e nel lungo periodo, dall’altro.

 

Mozambico, un intervento dell’ong Medici con l’Africa Cuamm

Ormai da settimane, anche a sud del Sahara, le aperture di quotidiani e portali di informazione sono dedicate al contrasto alla pandemia. E nell’arco di pochi giorni, dalla Nigeria all’Etiopia, dal Sudan al Sudafrica, sono stati accertati contagi in decine di Paesi. “Da oltre un mese partecipiamo agli incontri con il ministero della Salute del Mozambico per sviluppare un piano di contenimento insieme con l’Organizzazione mondiale della sanità, i Centers for Disease Control di Atlanta e ong come Medici senza frontiere” dice De Meneghi. “Ci siamo mossi subito perché il sistema è talmente fragile che non potrebbe non collassare, anzitutto a causa della ridotta disponibilità di professionisti sanitari”. In ciascuna delle province del Mozambico è stato predisposto un ospedale di riferimento per i casi di Covid-19, mentre in un solo laboratorio, proprietà dell’Instituto Nacional de Saúde, nell’area di Maputo, è possibile effettuare test con i kit diagnostici.

L’emergenza però non comincia ora. Un anno fa i cicloni Idai e Kenneth avevano sommerso villaggi, devastato scuole e ospedali, provocando oltre mille morti e colpendo in vario modo almeno un milione e 800mila persone. “Abbiamo creato un sistema di ambulanze – racconta De Meneghi – per trasportare i pazienti delle categorie più a rischio, anzitutto le mamme e bambini, dai centri sanitari periferici all’ospedale centrale di Beira, la seconda città del Mozambico”.

 

Mozambico, una campagna sanitaria – Crediti Nicola Berti

Alzare il livello della risposta e delle cure: un impegno portato avanti grazie a una pluralità di donatori, a cominciare dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), uno dei finanziatori della ricostruzione del reparto di neonatologia di Beira. E però non c’è solo questo. In una lettera-appello dedicata all’emergenza Covid-19, don Dante Carraro, il direttore di Medici con l’Africa, scrive: “Bisogna far di tutto per proteggere il personale e contenere l’epidemia; il rischio di non riuscire a farlo è altissimo perché i sistemi sanitari sono estremamente fragili e non è possibile garantire cure intensive ai pazienti colpiti e non ci sono reparti attrezzati”.

La risposta alla crisi si ricollega allora all’impegno di fondo. Testimoniato, ancora in Mozambico, da fotografie con toghe e sorrisi: quelle dei neolaureati dell’Università cattolica di Beira. “Il Cuamm ha partecipato alla creazione della facoltà di Scienze sanitarie, dove nel corso degli anni hanno tenuto lezione professori e specialisti italiani” sottolinea De Meneghi. “Poi ci sono le borse per gli studenti meno abbienti, un altro impegno che guarda al futuro”. Far fronte all’emergenza, senza dimenticare la formazione e quello che verrà. Ma anche ricostruire il quadro epidemiologico, un percorso necessario che può rivelarsi prezioso. Un contributo, dalla fine dello scorso anno, sta arrivando da un progetto denominato Prevenção e controlo das doenças não transmissíveis. “Si tratta di un’iniziativa finanziata da Aics con oltre sette milioni di euro” dice De Meneghi. “E’ una sfida che la Cooperazione italiana ci ha lanciato a partire dall’esperienza che abbiamo acquisito a livello comunitario, di centri di salute, di ospedali e nei contatti costanti con il ministero della Salute locale”.

 

Mozambico, volontari con l’Africa

Il cuore del programma è il contrasto a malattie croniche non trasmissibili come il diabete, il cancro al collo dell’utero e l’ipertensione, attraverso l’affiancamento alle autorità mozambicane e la formazione del personale locale, la ricetta distintiva del Cuamm. Secondo Ginevra Letizia, direttrice della sede di Aics a Maputo, questo tipo di patologie ha conquistato seria attenzione solo di recente, perché malattie trasmissibili come tubercolosi e soprattutto Hiv/Aids avevano un impatto devastante che costituiva la priorità per il sistema mozambicano e i maggiori partner di cooperazione. “Con il nostro intervento, promuoviamo in modo capillare la prevenzione e la cura tempestiva arrivando a tutti i livelli delle strutture sanitarie e allo stesso tempo rafforziamo le strutture di monitoraggio e controllo” sottolinea la responsabile. “Questo lo facciamo, da un lato, con una componente di sensibilizzazione comunitaria, che abbiamo realizzato anche con il nostro CinemArena, la carovana itinerante di cinema e spettacoli che ha percorso in lungo e in largo il Paese realizzando screening e controlli sanitari gratuiti per centinaia di donne delle comunità rurali e, dall’altro, attraverso la formazione del personale medico locale perché l’intervento sia sostenibile”. Secondo Letizia, grazie a una formula elaborata insieme con il ministero della Salute del Mozambico “il modello potrà essere adottato e replicato su scala nazionale e in futuro ogni unità sanitaria sul territorio potrà essere attrezzata e preparata per rispondere alla sfida delle malattie non trasmissibili”.

 

Mozambico, in un reparto di neonatologia – Crediti Nicola Berti

Un percorso, questo, avviato con il Cuamm e altre ong come la Comunità di Sant’Egidio e Aifo. “Il lavoro si fonda sulla conoscenza delle dinamiche del sistema sanitario e sullo studio del territorio sul piano epidemiologico” riprende De Meneghi. “Al centro c’è il negoziato con gli ‘activistas’ delle comunità, con i comitati di salute e infine con il ministero, preziosa anche ai tempi del Covid-19: l’obiettivo è ricostruire il percorso che anche il paziente originario dell’area più remota intraprende per essere curato in un centro sanitario o in un ospedale”.

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