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Exco 2019, una piazza di incontro per la cooperazione del futuro

Pace, pianeta, persone, prosperità. Queste sono le sezioni principali di Oltremare e tutte troveranno corrispondenza nella prima edizione di Exco, l’Expo della Cooperazione Internazionale, manifestazione organizzata da Fiera di Roma e in programma dal 15 al 17 maggio.

Intento dichiarato dell’iniziativa è creare una piazza di incontro tra Istituzioni Profit e No Profit, come attori che in maniera diversa possono collaborare e costruire insieme azioni di cooperazione allo sviluppo sostenibili e incisive.

In uno degli incontri che hanno anticipato Exco, il direttore generale di Fiera di Roma, Pietro Piccinetti, ha sottolineato come la direzione che si intende imboccare sia quella che vede la cooperazione internazionale allo sviluppo “una sfida strategica, anche economicamente, che può e deve portare l’Italia a stringere relazioni virtuose con i Paesi in via di sviluppo, contribuendo soprattutto a creare posti di lavoro in linea con i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile, Agenda 2030 e con grandi potenzialità di vantaggio per gli investitori privati”.

È inutile negare che quello della collaborazione tra settore privato e no profit nel campo della collaborazione sia un terreno che presenta insidie, ostacoli e difficoltà. Difficoltà anche profonde legate a reciproche diffidenze. Potremmo dire, anzi, naturali diffidenze. Eppure, come ha ricordato in un suo recente intervento Roberto Ridolfi, Assistant Director General della Fao, solo un intervento coordinato, ampio, che preveda allo stesso tempo meccanismi di mitigazione dei rischi, può avere un impatto davvero significativo in termini di risultati. Ovvero, se si vuole uscire dalle logiche dei progetti a tempo che rischiano di arenarsi una volta venuto meno il sostegno internazionale, occorre uno sforzo comune che non demonizzi nemmeno l’obiettivo di creare profitti, quando questi siano frutto di operazioni sostenibili e vadano a vantaggio dell’intera filiera in campo.

Ecco perché anche la Fao sta collaborando per la buona riuscita di Exco. La Fao, ha detto Marcela Villarreal, che nell’organizzazione delle Nazioni Unite dirige la divisione Partnerships and South-South Cooperation, già da qualche tempo ha aperto le porte al settore privato e questo prima ancora che l’Agenda di sviluppo 2030 riconoscesse tale collaborazione come una necessità e non più come un’opzione. Una scelta obbligata qualora si consideri che le stesse grandi decisioni riguardanti il settore dell’agricoltura vengono prese oltre che dai governi anche dal settore privato perché gli imprenditori possono coprire ambiti che i governi fanno più fatica ad affrontare; basti solo pensare alla creazione di posti di lavoro. Nel corso della conferenza di Addis Abeba dedicata lo scorso febbraio alla sicurezza alimentare e quindi alla lotta alla povertà (The future of food safety: Transforming knowledge into action for people, economies and the environment), è stato ribadito che per raggiungere l’obiettivo di sviluppo numero due (porre fine alla fame, garantire la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile) occorrono ogni anno 265 miliardi di dollari di investimenti in più oltre ai fondi attualmente impegnati. Tutti questi investimenti, è la posizione della comunità internazionale, sono sì necessari ma devono essere adoperati in modo responsabile e sostenibile. Per questo motivo in ambito Fao sono stati elaborati i principi di investimento responsabile in agricoltura e in sistemi alimentari (food systems) da proporre all’impresa privata, alle grandi multinazionali come alle società medie e piccole, puntando al rispetto dell’ambiente e all’annullamento di situazioni come il landgrabbing o l’esclusione sociale (no one behind).

Legato al tema del coinvolgimento del settore privato è il tema del partenariato pubblico-privato, anche questo indispensabile per rafforzare, ad esempio, il settore infrastrutturale e colmare quel gap che oggi porta alla perdita massiccia di cibo. Tanti prodotti agricoli si perdono durante il processo di produzione nei Paesi del Sud del mondo perché non ci sono le tecnologie per conservare e trasformare i beni alimentari o semplicemente le strade per raggiungere i mercati. Ma altrettanto cibo è sprecato nelle successive fasi della consumazione sia nel Sud che nel Nord. Secondo stime correnti, un terzo del cibo prodotto nel mondo viene perso o sprecato. Mettere in cantiere opere per aumentare la produzione e salvare quanto oggi viene sprecato o perso, può determinare il vero impatto. E questo a sua volta può essere l’effetto del coinvolgimento pieno di pubblico e privato, di profit e no profit perché davvero quei 365 miliardi all’anno siano investiti in maniera appropriata e per il benessere delle persone.

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